l'accessibilità dei trasporti pubblici alla luce della poco conosciuta legge antidiscriminatoria

Scritto da Gaetano De Luca il 17-07-2012

Quanti di voi si sono trovati a non poter salire su un autobus, su un tram o a non poter accedere ad una stazione della metropolitana perché non accessibili? Quante volte abbiamo dovuto rinunciare ad utilizzare un mezzo di trasporto pubblico o privato in quanto privo degli accorgimenti necessari per poter essere usufruito anche da persone con difficoltà motorie? Sicuramente sono numerose le persone anziane, le persone con disabilità, le donne in gravidanza, le mamme con i passeggini ed in generale chiunque non sia in grado di muoversi facilmente che si sono trovate in grossa difficoltà con i mezzi di trasporto.
Non tutti sanno però che nel nostro paese da qualche anno è stata introdotta una nuova normativa che può senza dubbio essere di aiuto e di supporto a quanti in virtù della loro condizione di disabilità motoria non riescono ad usufruire dei mezzi di trasporto. Si tratta della normativa antidiscriminatoria contenuta nella Legge 1 marzo 2006 n. 67 che per la prima volta ha espressamente introdotto nel nostro ordinamento giuridico un generale divieto di discriminazione per motivi legati alla disabilità e ha previsto una particolare azione legale per contrastare e chiedere la cessazione delle condotte ritenute discriminatorie.
Questa nuova legge si affianca alle normativa in vigore che già riconosceva a tutti (e quindi anche alle persone con difficoltà motorie) il diritto di poter accedere sui mezzi di trasporto e quindi imponeva alle imprese che gestiscono il servizio di garantire una piena accessibilità.
Infatti già nel 1971 la Legge 118 (art. 26) stabiliva che “i servizi di trasporti pubblici ed in particolare i tram e le metropolitane dovranno essere accessibili agli invalidi non deambulanti”.
Con la Legge quadro sull’handicap – Legge 5 febbraio 1992 n. 104 – viene poi nuovamente confermato (art. 26) il dovere in capo agli enti locali, titolari della gestione dei servizi di trasporto pubblico, di consentire alle persone con disabilità la possibilità di muoversi liberamente sul territorio, usufruendo, alle stesse condizioni degli altri cittadini, dei servizi di trasporto collettivo appositamente adattati o di servizi alternativi.
La Legge 104 impone infine ai Comuni di assicurare modalità di trasporto individuali per coloro che non sono in grado di servirsi dei mezzi pubblici. Questa norma è stata attuata da molti enti locali che mettono a disposizione un certo numero di buoni taxi.
In Italia dunque esiste da tempo un quadro normativo abbastanza chiaro che impone di rendere accessibili i mezzi di trasporto.  Come mai allora i nostri autobus, i tram e le metropolitane continuano a non essere pienamente accessibili e ha costituire una barriera alla mobilità?
La risposta sta probabilmente nel fatto che questa normativa, pur molto chiara nell’imporre l’accessibilità, non ha mai imposto dei termini entro i quali garantire un sistema di trasporti completamente accessibile, né tanto meno ha mai previsto delle sanzioni nel caso in cui un mezzo di trasporto sia inaccessibile.
In effetti il singolo cittadino, pur probabilmente sapendo che per legge i mezzi pubblici dovrebbero essere accessibili, si trova disorientato ogni volta in cui in una determinata circostanza non possa utilizzare un autobus o un tram, in quanto non sa quali strumenti legali utilizzare e quale reale efficacia possano avere.
Certamente in virtù degli obblighi e dei diritti riconosciuti dalla precedente normativa potrebbe utilizzare i tradizionali strumenti di tutela riconosciuti dal nostro  codice civile, chiedendo la risoluzione del contratto per inadempimento ed il rimborso del biglietto. E’ chiaro che una tutela di questo tipo non è molto soddisfacente e non ripaga assolutamente il disagio, la frustrazione e la violazione di diritti umani fondamentali (come il diritto di spostarsi liberamente) che conseguono ad una sistema di trasporti inaccessibile.
Questa è la ragione per la quale il nostro Parlamento ha voluto introdurre anche in Italia una normativa antidiscriminatoria simile a quella esistente negli Stati Uniti ed in molti paesi europei.
Si è infatti constatato che i tradizionali strumenti di tutela non riuscivano a contrastare lo stato di emarginazione, isolamento, di non partecipazione della maggior parte delle persone con disabilità e si è ritenuto necessario introdurre un divieto generale di discriminazione proprio per fare in modo che anche queste persone potessero godere dei diritti civili, politici, sociali ed economici come tutti gli altri.
Ecco quindi l’importanza del principio introdotto dalla Legge 67.2006 che nel suo articolo 2 testualmente sancisce: “Il principio di parità di trattamento comporta che non può essere praticata alcuna discriminazione in pregiudizio delle persone con disabilità”.
Nel caso in cui una persona con disabilità venga discriminata questa legge prevede la possibilità di promuovere  una azione giudiziaria per chiedere al giudice non solo la cessazione della condotta discriminatoria e la rimozione dei suoi effetti ma soprattutto il risarcimento di tutti i danni subiti, sia patrimoniali che non patrimoniali. E’ soprattutto la possibilità di ottenere il ristoro dei danni non patrimoniali l’aspetto che maggiormente contraddistingue questo nuovo strumento di tutela rispetto a quelli tradizionali
Una persona che si trova nell’impossibilità di raggiungere un luogo a causa della inaccessibilità dei mezzi di trasporto spesso subisce dei danni che vanno chiaramente al di là del costo del biglietto non utilizzato o del costo del taxi che è stato costretto ad utilizzare. Questi danni sono costituiti dal disagio subito, dalla fatica, dallo stress, dalla sofferenza psicologica dovuta alla frustrazione di sentirsi “tagliato fuori” dal sistema di trasporti pubblici, dalla umiliazione subita, dalla lesione della propria dignità personale. Sono proprio questi gli aspetti che rientrano nel concetto del danno esistenziale e che i Tribunali hanno cominciato a riconoscere nei primi provvedimenti applicativi della Legge 67.
Esistono infatti già numerosi precedenti in cui attraverso l’applicazione delle regole introdotte dalla Legge 67 i Tribunali italiani hanno accertato una condotta discriminatoria proprio nella inaccessibilità dei mezzi di trasporto pubblici e hanno condannato i Comuni e le Aziende di trasporto ad adeguare i mezzi nonché a risarcire i danni anche non patrimoniali subiti.
Pertanto una persona con difficoltà motorie che non riesca ad utilizzare i mezzi pubblici a causa della presenza di barriere e in generale a causa della loro inadeguatezza può contestare questa situazione in quanto costituisce una discriminazione vietata dalla Legge 67.2006.
La non possibilità di utilizzare i mezzi di trasporto a causa della loro inadeguatezza costituisce infatti un classico esempio di discriminazione indiretta, la cui definizione è contenuta nell’art. 3 della Legge 67: “Si ha discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono una persona con disabilita’ in una posizione di svantaggio rispetto ad altre persone”.
A questo punto è importante non avere solo la consapevolezza su cosa possa costituire una discriminazione vietata dalla legge, ma anche capire come tutelarsi.
Quali sono i passi da seguire per ottenere il rispetto del proprio diritto alla mobilità e a non essere discriminati? La prima cosa da fare è quella di contestare nell’immediato la mancata possibilità di usufruire di un mezzo di trasporto pubblico alla pari degli altri. Occorrerà quindi “denunciare” il fatto direttamente all’ente locale e alla Azienda di Trasporto con una comunicazione scritta, ricordandosi di conservarne una copia con la firma della controparte che ne dimostri la ricezione.
Il secondo passaggio è quello di inviare dopo qualche giorno una formale richiesta-diffida in cui dopo aver fatto presente che quanto denunciato in precedenza configura una discriminazione vietata dalla Legge 67, si chiede che tale discriminazione venga fatta cessare. In questa diffida deve già essere fatto presente che si sono subiti dei danni e se ne chiede il risarcimento, la cui reale quantificazione potrà essere anche fatta successivamente.
Il terzo passaggio, più delicato, è quello di verificare e valutare se quanto la controparte eventualmente offre sia adeguato ed efficace a rimuovere la situazione discriminatoria e a coprire i danni subiti.
Se non si è soddisfatti della risposta e della proposta offerta dall’ente locale e dall’Azienda di trasporto si ha la possibilità di agire in giudizio, depositando un ricorso presso il Tribunale dove si risiede.
E’ bene sapere che la normativa antidiscriminatoria riconosce la possibilità di depositare questo ricorso personalmente, ovvero senza la necessità di farsi assistere da un avvocato. Questo aspetto costituisce indubbiamente un trattamento favorevole, finalizzato a rendere più facile il ricorso alla giustizia di chi si trova in una condizione di debolezza e fragilità.
Occorre peraltro fare molta attenzione nel depositare un ricorso antidiscriminatorio in quanto si tratta pur sempre di un azione legale che come tale richiede determinate competenze e capacità non facilmente acquisibili. E’ quindi consigliabile farsi ugualmente assistere da un legale sia nella redazione del ricorso che nella presenza in udienza.
Vorrei infine sottolineare come la tutela antidiscriminatoria sia particolarmente efficace e soddisfacente in quanto consente di contestare le condotte di terzi a prescindere che tali azioni siano commesse con la volontà di discriminare. Ciò significa che per ottenere giustizia non occorre per forza dimostrare la colpa, ad esempio, del Comune. La discriminazione è vietata e sanzionata per il semplice fatto che crea un effetto di esclusione, anche se chi sta escludendo lo fa senza rendersi conto e senza alcuna volontà discriminante.
Alla luce di queste peculiari caratteristiche esposte in questo mio breve articolo sono pienamente convinto che questo nuovo strumento di tutela porterà una vera e propria rivoluzione nel modo di concepire le relazioni umane proprio perché riconosce che l’emarginazione e le difficoltà di una parte del genere umano sono dovute non tanto alle loro caratteristiche personali ma agli atteggiamenti della c.d. società dominante che non tiene conto dei bisogni di una parte della popolazione e fa fatica ad accettare la diversità nel suo complesso.
Avv. Gaetano De Luca

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