Teresa Curtarello, collage da una vita all'insegna della bellezza

Scritto da Alessandra Cicalini il 23-09-2014

Intervista di Alessandra Cicalini

I primi indizi sul carattere di Teresa Curtarello  sono stati raccolti dalla sottoscritta scendendo nella cantina di un signorile palazzo situato nel centro storico di Fermo. Nel borgo marchigiano, l’affascinante compagna di vita di Renzo Renzi, uno dei fondatori della Cineteca di Bologna, amico di Federico Fellini, Michelangelo Antonioni, Luchino Visconti, Pier Paolo Pasolini, Cesare Zavattini e di molte altre illustri figure della cultura italiana degli anni Cinquanta e Sessanta, tuttora trascorre le vacanze estive.

Superata una breve scalinata, si percorre un polveroso corridoio che termina davanti a un uscio chiaro, chiuso come quello delle favole, intorno al quale campeggiano una serie di tempere di uccelli piuttosto pasciuti, dipinti alla maniera medievale. Che lo stile nel quale sono stati realizzati fosse proprio quello in auge mille e passa anni fa, lo si scopre guardando Ritratto di famiglia, il film-documentario di Silvia Formiconi presentato all’ultima edizione del Biografilm Festival di Bologna, nel giugno scorso.

Dopo un lunghissimo periodo di gestazione (come racconta la regista in un’intervista radiofonica rilasciata durante il festival), il debutto è pressoché coinciso con il decimo anniversario dalla scomparsa di Renzi, avvenuta il 17 ottobre 2004. Giusto un giorno prima (il 16 ottobre di quest’anno), è stata fissata all’Archiginnasio  di Bologna la prossima proiezione pubblica. Alla prima dello scorso giugno, il film è stato introdotto con grande calore da Gianluca Farinelli, il direttore della Cineteca cittadina, che ospita presso di sé il ricco archivio composto da libri, articoli, saggi e fotografie (il medesimo dovrebbe presto arricchirsi anche del film di Silvia Formiconi, che per il momento è visionabile solo su richiesta specifica al sito internet Italiandoc.it) lasciato dall’intellettuale emiliano.

In famiglia, a dirla tutta, Renzo Renzi era soprannominato “il persiano di Rubiera”, come ricorda scherzosamente, a un certo punto del film, la figlia Lisetta (pure lei al debutto nell’arte come romanziera). Con analoga ironia, Teresa Curtarello dice di sé di essere stata Teresina per Federico Fellini, testimone alle sue nozze con Renzo, benché ci tenga poi a precisare, con una segreta punta di orgoglio, “un po’ ho studiato anch’io”.

Che l’abbia fatto (e non poco) lo si capisce bene immergendosi nei collages che la signora Renzi ha preso a realizzare dal 1980, usando carte antiche, di quelle “fatte con gli stracci messi a bagno”, spiega, “colorate con le erbe, alla maniera degli affreschi del Trecento”, come gli uccellini della cantina, che durante il film chiama “scemotti”. E del resto, il suo inconfondibile gusto non nasce dal nulla: prima di diventare insegnante di storia dell’arte, Teresa Curtarello si è formata alla scuola di Giorgio Morandi e di Virgilio Guidi , “due mondi molto diversi”, come ha raccontato nell’intervista che segue. Buona lettura.

Che tipo era Giorgio Morandi?

E’ stato il mio insegnante di incisione: quando entravi nell’aula, c’era un grande silenzio. Era perfetto, ma anche molto timoroso: ci dava da copiare dei Carracci, ma ci preparava lui il materiale. Da Virgilio Guidi, invece, che era il mio insegnante di pittura, si respirava tutta un’altra aria.

Perché?

Guidi era uno sperimentatore: ci faceva leggere Simone De Beauvoir, per dire. Da Morandi si imparava, mentre con lui si facevano cose strane.

Perché hai scelto di dedicarti ai collages?

Molte persone dipingevano e anch’io lo facevo, naturalmente. Però mi piaceva raccogliere carte antiche. Finché una volta vidi in una mostra su Matisse un bellissimo collage e in seguito un libro di collagisti svizzeri della Franco Maria Ricci. Erano piccoli lavori realizzati durante l’inverno da montanari anonimi, che raccontavano storie di fienagione e cose così. Mi ricordavano mia madre, che era svizzera. Da lì mi è nata la passione. D’altronde il collage è un’arte antichissima, diffusa in tutto il mondo, con caratteristiche molto diverse: in Asia, per esempio, si sono specializzati nelle silhouette.

Tra i tuoi collages colpiscono molto i ritratti: come selezioni le carte per ricostruire il volto di qualcuno?

Il segreto è tutto là: nello scegliere il giusto pezzo di carta che sia in grado di raccontare con precisione censo ed età della persona che si vuole ritrarre. E in questo mi sento proprio brava (ride). Ho realizzato più di cento ritratti, del resto.

Se non ho capito male, in molti casi hai ritratto persone che conoscevi (da Milva a Camilla Cederna, passando per Rosellina Archinto e Rosita Missoni, per citarne solo alcune, ndr): ma non ti è mai capitato di doverti far dire qualche dettaglio in più per poterli meglio rappresentare?

Nella maggior parte dei casi, sono stati proprio i miei conoscenti a propormi di ritrarli, quindi avevo modo di raffigurarli piuttosto bene. Però, per esempio, a Giorgio Celli, grande etologo ma anche divulgatore televisivo, gli chiesi come si vedesse meglio. E lui mi rispose: “sono un seduttore”. E allora, dopo averlo messo su un monumentino, di profilo, sotto, a matita, ci ho disegnato un grande fallo (ride ancora, di cuore). Poi, certo, in qualche caso ho inserito degli elementi che potevamo conoscere solo io e la persona tratteggiata: a una mia amica fidanzata con un signore che aveva scritto un’opera intitolata “I giorni del merlo”, beh, ho messo un merlo tra le mani (altra risata).

L’ironia è uno dei tratti distintivi dei tuoi ritratti, non c’è dubbio.

Per me fare collages è un gioco e infatti non mi sono mai messa sul mercato, anche perché, per farlo, bisogna essere furbi, darsi da fare e forse, chissà, magari non ne ero all’altezza…

Renzo che cosa pensava della tua modestia?

Non ne abbiamo mai parlato, perché lui era come me. Anche Renzo scriveva per il piacere di scrivere, di conoscere. E, del resto, aveva la possibilità di scegliere di chi parlare nella sua rivista Cinema Nuovo. Addirittura, anzi, alcuni registi erano arrabbiati con lui perché non li prendeva in considerazione. Per me si è fortunati quando si ha la possibilità di scegliere.

Il vostro è stato da subito un grande amore: lo si capisce anche guardando il film. Ci racconti il vostro primo incontro?

L’ho visto a Venezia, accompagnando il mio maestro Virgilio Guidi, al quale Renzo aveva dedicato un film. Guidi gli regalò un suo disegno e poi andammo tutti al caffè Florian, perché allora usava così. E lì Renzo mi chiese un bacio. E io gli risposi: “No, ma dopo”. E dicendo questo dopo, lo illusi anche se in verità non ne avevo alcuna intenzione.

Però tua figlia Lisetta nel film ti prende in giro, dicendo: “Altro che bacio, dopo!”. Per te che cosa ha contato di più: l’amore per Renzo e la tua famiglia o l’arte?

Direi tutto allo stesso modo. Da casa nostra è passato tutto il cinema di spessore di quegli anni: molti venivano per lavorare alla rivista, ma poi restavano a mangiare e si andava insieme alle feste, per esempio da Enzo Biagi, che aveva una villa poco fuori Bologna.

Nel film si sente buona parte della bella presentazione che ti ha fatto Federico Fellini in occasione di una mostra: che tipo era nel privato?

Mi chiamava Teresina e mi diceva: “Che bella voce che hai”. Eravamo davvero molto amici, sì. È venuto sia a Bologna sia a Milano per presentare due mie mostre. Negli ultimi anni era veramente angosciato: si telefonava con Renzo la domenica mattina e diceva di non riuscire più a lavorare; mentre tutti lo volevano e acclamavano, lui era impaurito dalla fama. Poi sopraggiunsero prima la malattia di Giulietta e poi la sua… Finì tutto in modo molto triste.

E di Giulietta Masina che ricordo hai?

Era una signora molto gentile, aggraziata: la classica signora per bene e infatti ci si stupiva vedendola recitare nei film fatti da Federico. Io penso che lui l’abbia veramente creata: diretta da altri registi, non rendeva altrettanto bene.

Della Cineteca di Bologna ricordi le origini? 

È nata grazie a un’idea di Renato Zangheri, che fu capace di riunire tutti i grossi intellettuali bolognesi dell’epoca. Negli anni è diventata una delle più grandi istituzioni del genere nel mondo. E poi tutte le volte che ci vado mi fanno anche gli inchini e questa cosa mi piace molto (ride). D’altra parte, il direttore Gianluca Farinelli  è stato una specie di allievo di Renzo e io sono contenta che vada così bene.

Oltre alla proiezione all’Archiginnasio del prossimo 16 ottobre, in quali altre occasioni sarà possibile vedere Ritratto di famiglia?

La regista Silvia Formiconi dovrebbe riuscire a portarlo alla Biblioteca nazionale di Parigi l’anno prossimo, ma prima ancora, in novembre, dovrebbe partecipare al Guangzhou International Documentary Film Festival  di Canton, in Cina. Poi dovrebbe essere proiettato a Rimini e di nuovo a Fermo.

Come hai conosciuto il borgo marchigiano?

Attraverso Luigi Crocenzi, che abbiamo incontrato per caso Renzo ed io a Venezia: aveva realizzato Conversazione in Sicilia , con Elio Vittorini. Fu lì che ci propose di prendere, dietro pagamento di un piccolo affitto, lo scantinato prima occupato da un anziano finito in casa di riposo, come dimora per le vacanze. Conquistati dal panorama, acconsentimmo: demmo un po’ di bianco, sistemammo il bagno e cominciammo ad andarci. E ci andiamo ancora.

Che tipo era Crocenzi?

Un uomo intelligente e gentile, solo che diceva sempre: “vivo nel brodo”. Se n’era andato via dalla grande città perché ne aveva avuto paura. A me faceva sempre tanti complimenti: “quando arrivi tu”, mi diceva, “si illumina la piazza”. Perché allora ci si ritrovava tutti in piazza (ridacchia).

L’Italia è stata piena di intellettuali molto interessanti, eppure non trovi anche tu che se ne stia perdendo un po’ la memoria?

I tempi cambiano e d’altra parte è giusto così. E poi quelli erano anni straordinari: venivamo da una guerra terribile e da una ideologia altrettanto terribile. Dovevamo rinascere e c’era la speranza di farcela.

Renzo ha pagato un prezzo altissimo proprio per via di quella terribile ideologia: nel film tua figlia Lisetta ripercorre la vicenda facendo cenno alla sceneggiatura del film mai realizzato L’armata s’agapò, in cui si ricostruiva l’occupazione fascista della Grecia in termini molto crudi e realistici.

Renzo fu condannato per vilipendio all’esercito e degradato per via di quella sceneggiatura, sì. Durante i giorni in carcere, però, lo andò a trovare tutto il cinema italiano: Visconti gli portava i cioccolatini… E dire che, trasformando quella tragedia in commedia, Gabriele Salvatores  è riuscito a vincere l’Oscar come miglior film straniero… quella vicenda lo segnò molto.

Eravate molto diversi caratterialmente: nel film a un certo punto si evoca la parola “leggerezza”, parlando di te.

Me l’aveva detto Lamberto Sechi in occasione di una mia mostra a Cortina D’Ampezzo, sì. Renzo, invece, alla Lisetta aveva scritto in una lettera: “Stai attenta alla mamma, che è quasi una bambina”. Che può essere visto come grande segno d’amore, d’affetto, ma anche no!

Per te, che sei stata e sei una gran bella donna, che cos’è la bellezza?

Intelligenza: nel modo di vivere, di fare. Le carte che sceglievo, per esempio, erano belle.

E forse anche misteriose: per te per caso la bellezza è qualcosa che si scopre lentamente?

Direi di sì.

Pensi di aver avuto una vita felice? 

Ho avuto alti e bassi, perché è la vita a essere così: un susseguirsi di vari momenti. Poi, certo, ho cercato di fare quello che mi piaceva, lavorando molto. Perché bisogna lavorare. Se fai le cose che ti piacciono, comunque, ti viene tutto meglio. Ma alle volte è anche una questione di fortuna.

Ti è piaciuto insegnare?

Moltissimo, anche se mi sono stancata tanto: ho avuto un bel rapporto con gli studenti, tutti maschi. Giusto qualche giorno fa al Lumiere mi si è avvicinato un signore che mi ha detto di essere stato un mio allievo. Li portavo a fotografare il ‘400 bolognese e poi sviluppavamo le foto nella camera oscura della scuola. Dare i voti però mi seccava.

Come Gianni Rodari… Finisco con due domandine tratte direttamente dai test che girano su internet, anche se so che tu non lo adoperi. La prima: qual è il tuo libro preferito?

I pericoli delle passioni  di Chordelos Delaclos.

Wow… E se dovessi reincarnarti in un animale, quale saresti?

Una pecorella smarrita.

Ridiamo entrambe. Perché se è vero che la vita è piena di alti e bassi, la si attraversa più volentieri se non ci dimentica mai di alleggerire il cuore, andando alla ricerca del bello. Che c’è di sicuro, nonostante tutto. Da Muoversi Insieme un grazie immenso per la grande lezione di vita.

 

 

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