Il dolore

Scritto da Massimo Tanzi il 28-11-2012

La riduzione della mortalità per patologia acuta ed il conseguente aumento della durata della vita sono innegabili risultati ottenuti con l’evoluzione della medicina. Tuttavia è contemporaneamente aumentato il dolore in senso lato e, purtroppo, il carico di disagio sociale.
Esiste un’idea, peraltro infondata ma abbastanza diffusa, che ipotizza una riduzione della percezione e dell’intensità del dolore con l’avanzare dell’età.
Invece, nei soggetti la cui sopravvivenza dipende dal trattamento medico continuativo, il dolore assume spesso un andamento cronico. Non dimentichiamo che la disabilità è connessa all’invecchiamento della popolazione (otto anziani su dieci sono portatori di almeno una malattia cronica; a 65 anni restano ancora da vivere in media 16 anni per gli uomini e 20 per le donne, ma 3-5 di questi anni sono gravati dalla disabilità): spesso questa condizione si correla al dolore; diversi studi riportano, come origine dello stesso, la patologia muscolo-scheletrica nel 70%-80% dei casi.
Il dolore è un fenomeno complesso: può essere causato da stimoli nocicettivi od originato direttamente nelle strutture nervose preposte alla sua trasmissione (dolore neuropatico). La percezione del dolore è fortemente condizionata da elementi soggettivi; può essere cronico o persistente quando è di lunga durata (almeno 3-6 mesi) e permane alla scomparsa dei fattori causali che lo hanno generato. Inoltre compromette lo stato di benessere dell’individuo e può anche non essere associato a condizioni patologiche ben definibili.
Il 25%-50% degli anziani, cognitivamente integri e residenti al proprio domicilio, prova dolore; tra coloro che sono ricoverati in case di riposo la prevalenza di dolore è del 40%-80%. I soggetti con deficit cognitivo hanno 1,5 probabilità in più di non ricevere un trattamento adeguato rispetto a coloro che sono cognitivamente integri.
In un anziano su quattro, il dolore raggiunge livelli tali da impedire il normale svolgimento delle attività quotidiane. La prevalenza di dolore persistente sembra essere due volte più elevata negli ultrasessantenni rispetto alle persone di età inferiore.
Tuttavia, il 40% circa degli anziani dichiara uno stato di salute buono o molto buono, pur in presenza di una grave compromissione fisica. Allora, non è facile definire in cosa consista la buona salute per questi soggetti: sicuramente non coincide con l’integrità fisica.
Quindi, il medico non può esaurire il suo intervento prendendo in considerazione un singolo aspetto del disagio e disabilità nell’anziano.
La terapia farmacologica del dolore (nel 30%-40% dei casi inadeguata) non può trascurare il “dolore totale” (costituito dalle componenti fisica, psichica, sociale, spirituale). Richiede soprattutto la vicinanza/prossimità dell’altro.
Non a caso, è stato dimostrato che il dolore è sottotrattato tra gli anziani, in particolare tra quelli con declino cognitivo o di età superiore ad 85 anni: solo un quarto degli anziani con dolore riceve un trattamento analgesico.
Come già scritto, le patologie cronico/degenerative, in continuo aumento, porteranno l’anziano a manifestare più facilmente una sintomatologia dolorosa. In effetti, il dolore raramente dipende da un’unica causa; è generalmente la conseguenza di più patologie croniche, potenzialmente debilitanti come le malattie osteoarticolari e vascolari, oltre che di fattori psicologici e sociali, i quali pur non essendo i responsabili direttamente dello stimolo nocicettivo, possono modularne la percezione.
l’adozione di uno strumento di misura del dolore non è sufficiente se non supportata da una specifica formazione (teorico-pratica) del personale infermieristico e di assistenza alla persona, responsabile della rilevazione del sintomo/segno dolore. Gli operatori con specifico training riportano punteggi più alti e verosimilmente più vicini al livello di dolore sperimentato dai pazienti, rispetto ad operatori senza formazione ad hoc.
Una buona valutazione del dolore è il presupposto per un corretto trattamento: l’impiego di strumenti di auto-valutazione è considerato il “gold standard”, ma questa modalità non può essere sempre adottata negli anziani.
Ad esempio, la scala numerica dell’intensità del dolore (NRS) sembra avere valenze comuni a culture diverse ed è considerata valida ed affidabile sugli adulti di tutte le età, purché abbiano una dimensione cognitiva intatta.
Invece, la scala verbale dell’intensità del dolore (VDS) consiste in una lista di aggettivi che descrivono i livelli d’intensità del dolore stesso ed è la più raccomandata per le persone anziane con declino cognitivo moderato.
Quando l’anziano non è in grado di comunicare il dolore, ci si basa sulla valutazione del caregiver (= termine anglosassone per indicare colui che si occupa delle cure e dell’assistenza di un’altra persona), sanitario o familiare che sia, anche se gli operatori sanitari tendono spesso a sottostimare il dolore negli anziani con declino cognitivo ed i caregiver familiari, contrariamente ai sanitari, tendono a sovrastimarlo.
Gli strumenti osservativi sono un’alternativa ai self report: sono stati identificati una serie di indicatori comportamentali per le persone anziane con deficit cognitivi tali da non permettere una comunicazione efficace.
Le linee guida dell’American Geriatric Society hanno raggruppato in sei categorie gli indicatori comportamentali: espressioni facciali, verbalizzazioni e vocalizzi, movimenti del corpo, cambiamenti nelle interazioni interpersonali, cambiamenti nelle attività abituali o di routine, cambiamenti dello stato mentale. Questi indicatori comportamentali costituiscono la base di molti strumenti di valutazione del dolore negli anziani con demenza grave.
Quindi, in queste persone la valutazione del dolore deve avvenire sia attraverso l’osservazione di comportamenti tipici di dolore (espressioni facciali ecc.) che attraverso la valutazione di comportamenti più sottili (cambiamenti nelle interazioni interpersonali, stato mentale, respiro rumoroso ecc.) o di cambiamenti nelle attività usuali (mangiare, riposo/sonno ecc.).
Inoltre bisogna cercare di quantificare il dolore provato al momento e non retrospettivamente (per lo stato di perdita di memoria, tipico di questi soggetti),
a riposo e durante il movimento, o subito dopo.
Nelle Residenze Socio-Assistenziali (RSA) di tutto il mondo la cura del dolore è inadeguata: risulta ridotto l’utilizzo di analgesici, spesso rappresentati dai FANS, soprattutto nei pazienti con demenza. l’impiego del paracetamolo a dosi idonee è giustificato come prima scelta in numerosi tipi di dolore persistente: ha una bassa tossicità, una scarsa interazione con altre terapie, benché non abbia un effetto antiflogistico.
Invece, per quanto riguarda i farmaci anti-infiammatori non steroidei (FANS),
sono di provata efficacia nel trattamento del dolore, anche se l’uso protratto può condurre a tossicità (soprattutto renale) ed a modificazione dei valori di pressione arteriosa, avendo inoltre un elevato potenziale di gastrolesività e di interazione con altre terapie.
Ricordiamo che diverse Linee Guida (LG) raccomandano farmaci topici (pomate, creme, gel, schiume) a base di FANS come prima scelta, da soli o come seconda scelta in associazione al paracetamolo.
Per quanto riguarda l’efficacia dei farmaci oppioidi nel dolore di origine non oncologica, esiste la prospettiva di un trattamento prolungato con l’ipotesi di una possibile interruzione/riduzione della cura da un punto di vista quantitativo, anche se un loro impiego non è risolutivo ed è limitato dagli effetti collaterali (come sonnolenza, nausea, stipsi). Sono potenzialmente efficaci nel dolore resistente ad altri farmaci.
Esiste una concordanza, tra le varie LG, nel preferire oppioidi maggiori in formulazioni orali a lento rilascio, riservando i cerotti in caso di intolleranza o quando la via orale non è praticabile. Una scelta oculata dei pazienti da trattare limita al 2-4% il rischio di dipendenza.
In merito all’associazione oppioide minore ed antalgico, quella concernente la codeina ed il paracetamolo è l’unica autorizzata nel trattamento del dolore cronico; mentre quella concernente il tramadolo ed il paracetamolo è autorizzata solo per il dolore acuto.
Comunque, è stata dimostrata l’importanza della terapia a cicli o sub-continua: si manifestano meno effetti collaterali od eventi avversi rispetto alla terapia cronica.
La prosecuzione di una terapia non idonea e/o senza efficacia sul sintomo dolore è comunque a rischio di gravi effetti collaterali e può determinare implicazioni medico-legali di notevole rilevanza.
Concludendo, il pensare comune di oggi porta a considerare il dolore come una sconfitta. In realtà, l’imperativo della medicina clinica, per la quale il dolore è parte integrante della vita, è di rendere il dolore stesso “possibilmente più tollerabile”.
 
 
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