Gotta

Scritto da Massimo Tanzi il 06-07-2012

La gotta, essendo già nota al tempo degli Egizi, è stata probabilmente una delle prime malattie conosciute dall’uomo.
Colpisce l’1-2% della popolazione adulta nei paesi sviluppati; la sua prevalenza è in aumento negli ultimi decenni e si pensa che sia in parte attribuibile ai cambiamenti delle abitudini dietetiche e dello stile di vita, al miglioramento delle cure mediche ed all’aumento dell’aspettativa di vita.
Essa è diventata molto frequente anche in paesi come la Cina, la Nuova Zelanda e l’Africa sub-sahariana.
E’ una patologia che frequentemente determina compromissione funzionale, non solo durante l’attacco acuto ma anche in fase cronica. Risulta associata ad una ridotta qualità di vita ed importante disabilità, soprattutto in quei pazienti con ripetuti attacchi acuti o con un coinvolgimento poliarticolare.
Deriva da una condizione di iperuricemia cronica (= elevati valori di acido urico nel sangue),
la quale costituisce il più importante fattore di rischio, anche se la maggior parte dei soggetti iperuricemici rimangono asintomatici per tutta la vita.
Rappresenta la più frequente artropatia infiammatoria negli anziani. In Gran Bretagna, la più alta prevalenza di gotta si riscontra nella fascia d’età tra i 75 e gli 84 anni. Inoltre, nel sesso femminile la prevalenza continua ad aumentare fino a raggiungere il 3% dopo gli 85 anni. l’incidenza nella popolazione anziana è di circa 38 nuovi casi ogni 10.000 persone.
Negli Stati Uniti, soprattutto per gli uomini anziani con più di 75 anni, la prevalenza di tale patologia è quasi raddoppiata, passando dal 2,1% nel 1990 al 4,1% nel 1999.
Mentre la gotta in età adulta colpisce in prevalenza soggetti di sesso maschile, dopo i 65 anni la differenza fra i due sessi si riduce. Infatti, nelle donne la gotta si sviluppa soprattutto dopo la menopausa, in quanto la notevole riduzione dei livelli di ormoni estrogeni comporta un incremento dei livelli di uricemia.
Attualmente, i pazienti affetti da gotta sono spesso clinicamente più complessi rispetto al passato, poiché presentano indubbiamente un’età più avanzata, frequenti comorbilità, in particolare cardiovascolari e renali. La prevalenza di sindrome metabolica nei pazienti affetti da gotta è circa il 60%; questi pazienti hanno inoltre un importante rischio di interazioni farmacologiche.
I fattori di rischio per la comparsa di gotta sono l’obesità, l’abuso di alcool (birra in particolare),
un eccessivo apporto calorico
legato ad assunzione di carne e frutti di mare. Non risultano associati ad aumentato rischio i vegetali ad alto contenuto di purine, il tè, i latticini ad elevato contenuto di grassi, bevande dietetiche ed il consumo di moderate quantità di vino. l’assunzione di vitamina C e di caffè (anche decaffeinato) risulta associata ad una riduzione dell’uricemia.
La gotta (e l’iperuricemia) risultano associate all’ipertensione, al diabete mellito, alla sindrome metabolica, alle patologie cardiovascolari e renali.
l’acido urico rappresenta il prodotto finale del metabolismo delle purine endogene ed alimentari. La dieta contiene di solito piccole quantità di acido urico, per cui quello presente nell’organismo viene prodotto soprattutto nel fegato, in misura minore nel piccolo intestino.
Gli esseri umani ed i primati superiori non possiedono l’enzima uricasi (che degrada l’acido urico ad allantoina, altamente solubile),
motivo per il quale hanno livelli elevati di uricemia rispetto agli altri animali.
Quando la concentrazione di urato nel sangue supera il valore di 6 mg/dl, aumenta il rischio di formazione di cristalli e di una conseguente precipitazione degli stessi. La familiarità gioca un ruolo importante nella determinazione della concentrazione sierica di acido urico, essendo responsabile di circa il 60% della variabilità individuale.
Diverse patologie, come i disordini mieloproliferativi e linfoproliferativi, la psoriasi e l’anemia emolitica sono associate ad un aumentato turnover degli acidi nucleici, con conseguente iperuricemia.
l’escrezione giornaliera degli acidi urici avviene per un terzo nel tratto gastroenterico e per due terzi a livello renale. Le alterazioni dell’escrezione renale di acido urico rappresentano la causa dell’iperuricemia nel 90% degli individui.
I soggetti con sovrapproduzione di acido urico costituiscono meno del 10% dei pazienti con gotta. La gotta si manifesta soprattutto a livello della prima articolazione metatarso-falangea (che è collocata in periferia e presenta una temperatura più bassa) e delle articolazioni affette da artrosi, per il ridotto contenuto in queste ultime di collagene e proteoglicani. La solubilità dell’acido urico nel liquido articolare dipende anche dal livello di idratazione e dalla temperatura locale.
Inoltre gli attacchi dolorosi sono prevalentemente nottur-ni, a causa della disidratazione intra-articolare.
I cristalli di monourato di sodio costituiscono degli stimoli pro-infiammatori che possono iniziare e sostenere un’intensa risposta infiammatoria.
La gotta, inoltre, risulta associata all’uso di diversi farmaci, come diuretici, aspirina a basse dosi ed alcuni immunosoppressori usati nei trapianti d’organo (ad esempio la ciclosporina). Altri farmaci aumentano la concentrazione sierica di acido urico: alcuni chemioterapici, levodopa, interferone.
Nel decorso clinico della gotta, si possono distinguere tre periodi: l’iperuricemia asintomatica, la fase degli attacchi acuti di gotta con intervalli asintomatici e l’artrite gottosa cronica.
I soggetti con livelli di acido urico inferiori a 7 mg./dl. hanno una probabilità dell’1,9% di sviluppare gotta, mentre quelli con valori tra 8 ed 8,9 mg./dl. hanno il 25% di probabilità, e quando l’uricemia è superiore a 9 mg./dl. il rischio aumenta fino al 90%.
l’artrite gottosa acuta, in fase iniziale colpisce spesso un’articolazione degli arti inferiori (85-90% dei casi),
di solito la prima articolazione metatarso-falangea (definita con il termine di “podagra”). Altre sedi frequenti sono il metatarso, le caviglie, le ginocchia e le braccia.
Raramente l’attacco iniziale è poliarticolare (3-14% dei casi); di rado riguarda il cingolo scapolare o pelvico. In alcuni pazienti si verifica un solo episodio di attacco acuto, mentre in altri si ripresenta un secondo attacco, di solito tra i 6 mesi ed i 2 anni.
Di solito, gli attacchi successivi al primo hanno una durata maggiore, colpiscono più articolazioni e si diffondono anche agli arti superiori, soprattutto alle mani. Diversi fattori possono scatenare un attacco acuto, anche il digiuno, un trauma od un intervento chirurgico.
Il tempo di progressione della patologia da un’iperuricemia asintomatica alla gotta con formazione di tofi (= accumulo di cristalli di urato monosodico all’interno delle articolazioni ed in altri tessuti) può variare ampiamente in un range di diversi anni, ed è direttamente correlato con la gravità e la durata dell’iperuricemia.
Soltanto nel 50% dei casi, la gotta ad esordio senile si presenta con un episodio acuto monoarticolare a livello degli arti inferiori. l’insorgenza è invece spesso insidiosa, sub-acuta o cronica, poliarticolare, con ridotti segni infiammatori e con il frequente coinvolgimento delle articolazioni della mano. Inoltre gli anziani, soprattutto donne con insufficienza renale che hanno assunto farmaci anti-infiammatori o diuretici, presentano un rischio elevato di sviluppare precocemente depositi tofacei, anche in assenza di una storia di artrite acuta. In età avanzata, l’artrosi ed i depositi di cristalli di monourato spesso coesistono.
La diagnosi di gotta viene di solito effettuata su base clinica. E’ piuttosto comune riscontrare un livello di uricemia normale o ridotto durante l’attacco gottoso acuto, quindi può essere utile dosare l’acido urico nel sangue dopo 2-3 settimane dall’attacco. La ricerca dei cristalli di urato monosodico nel liquido sinoviale articolare, anche in soggetti asintomatici, costituisce comunque il “gold standard”.
E’ inoltre possibile che sia presente una patologia neoplastica non ancora diagnosticata (es. leucemia).
Nella pratica clinica si tende ad eseguire degli aspirati soprattutto dalle articolazioni infiammate, mentre i cristalli di urato monosodico possono essere identificati anche nel liquido sinoviale delle articolazioni asintomatiche, soprattutto della prima articolazione metatarso-falangea e delle ginocchia.
l’indagine radiografica non è utile nella fase iniziale della malattia; tuttavia può essere utile nel dimostrare le caratteristiche tipiche della gotta cronica, come l’infiltrazione ossea dei tofi gottosi. Inoltre, per la diagnosi della gotta, possono anche essere utilizzati altri tipi di indagini strumentali, come l’ecografia, la TAC e la Risonanza Magnetica. Bisogna però tenere presente che i tofi possono talora assumere un aspetto di malignità alla Risonanza Magnetica, per cui potrebbe essere necessario il prelievo bioptico per la diagnosi definitiva.
La diagnosi differenziale della gotta va condotta rispetto a numerose patologie, quali l’artrite settica, che costituisce la principale patologia da escludere, l’artrite reumatoide, l’artrosi e le altre artropatie da cristalli, come la pseudogotta e la condrocalcinosi (malattie dovute alla deposizione di cristalli di calcio pirofosfato diidrato),
le artriti da cristalli di ossalato di calcio, che si verificano nei pazienti sottoposti a dialisi, così come l’emocromatosi, l’artrite psoriasica e le spondilo-entesoartriti.
Circa il 30% dei pazienti con gotta, soprattutto quelli di età geriatrica, presentano un basso titolo di fattore reumatoide, aumentando la possibilità di una diagnosi errata.
Recenti studi hanno dimostrato che una storia di artrite gottosa risulta correlata con un rischio aumentato di sviluppare infarto del miocardio negli uomini, anche in assenza di malattia coronarica ed indipendentemente dalla presenza di fattori di rischio cardiovascolare. Inoltre, la gotta è associata a maggiore rischio di ospedalizzazione e mortalità in pazienti con scompenso cardiaco.
La nefrolitiasi (= formazione di calcoli renali) è la più frequente patologia renale correlata alla gotta, insorgendo in circa il 10-40% dei pazienti. I soggetti affetti da gotta presentano un rischio doppio di sviluppare nefrolitiasi rispetto a chi non ne è affetto. Questo tipo di calcoli non è visibile alla radiografia poiché radiotrasparente, cosicché risulta necessario ricorrere all’ecografia od alla TAC.
Il principale obiettivo terapeutico, negli attacchi acuti, consiste nella riduzione del dolore e nella risoluzione dell’infiammazione. Oltre al riposo ed all’applicazione di ghiaccio, la terapia per gli attacchi acuti classicamente è basata su farmaci anti-infiammatori non steroidei (FANS) e sulla colchicina. Recentemente, anche i corticosteroidi hanno dimostrato di essere efficaci nel trattare l’attacco acuto, soprattutto nella popolazione anziana. l’iniezione intra-articolare di corticosteroidi a lunga durata d’azione risulta efficace nell’alleviare il dolore nei pazienti con patologia mono-articolare che non possono tollerare altri farmaci di prima linea.
La terapia ipo-uricemizzante è indicata in quei pazienti con attacchi di gotta ricorrenti, artropatia gottosa cronica, presenza di tofi o litiasi renale, con l’obiettivo di prevenire la formazione di nuovi cristalli e dissolvere quelli già presenti, mediante la riduzione dei livelli di uricemia.
Di fondamentale importanza è la raccomandazione di adottare un corretto stile di vita, consigliando un cambiamento delle abitudini alimentari con una dieta appropriata, cercando di ridurre il peso corporeo quando è eccessivo e di ridurre l’uso di alcool.
La gotta non è sempre una malattia progressiva e la terapia specifica non è raccomandata dopo un solo attacco acuto. Essa dovrebbe essere instaurata una/due settimane dopo la risoluzione dell’infiammazione, poiché una terapia iniziata precocemente, in corrispondenza dell’attacco acuto, lo potrebbe aggravare od essere responsabile di nuovi attacchi.
La terapia ipo-uricemizzante dovrebbe essere continuata per un tempo indefinito, poiché la gotta si può ripresentare dopo l’interruzione del trattamento. Gli eventuali attacchi acuti, in corso di terapia cronica, dovrebbero essere trattati senza interrompere la terapia ipo-uricemizzante.
l’approccio di prima linea per ridurre l’acido urico sierico consiste nell’inibizione dell’enzima xantina ossidasi mediante l’allopurinolo. Tuttavia non sono rare le interazioni con altri farmaci, tra cui risultano potenzialmente pericolose quelle con il warfarin (farmaco anti-coagulante) e con l’azatioprina (farmaco immunosoppressore). Mentre per molti decenni l’allopurinolo è stato l’unico inibitore dell’enzima xantina ossidasi disponibile, recentemente è stato approvato un farmaco, il febuxostat: esso rappresenta una valida alternativa nei pazienti con intolleranza od ipersensibilità all’allopurinolo, oppure in caso di scarsa efficacia di quest’ultimo.
Concludendo, bisogna ricordare che molti pazienti interrompono precocemente il trattamento ipo-uricemizzante, se non è più presente alcuna sintomatologia specifica. Non comprendono, purtroppo, che la terapia del singolo attacco acuto non è sufficiente a trattare in modo efficace la gotta stessa e le manifestazioni tipiche della forma cronica.

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