Disturbi alla prostata, prevenzione e cure

Scritto da Massimo Tanzi il 22-11-2010

La prostata è una ghiandola che appartiene all’apparato genitale maschile. Invecchiando, capita di frequente che si manifestino dei sintomi ad essa imputabili, con ripercussioni sulla salute e sulla quotidianità, che possono essere affrontati con adeguati controlli periodici ed eventuali cure preventive.

Ma quando questa sintomatologia deve essere ritenuta meritevole di valutazione specifica? Per capirlo, occorre fare chiarezza innanzitutto su come sia una prostata di dimensioni normali.

In un uomo adulto, ha la forma grossomodo di una castagna, misura circa tre centimetri di diametro e pesa circa venti grammi. È inoltre localizzata nella pelvi, al di sotto della vescica e anteriormente al retto e circonda l’uretra.

La prostata ha una funzione fisiologica molto importante: il suo ruolo primario consiste nel produrre parte del liquido seminale (circa il 20% della parte liquida dello sperma) che viene espulso con l’eiaculazione.

Per funzionare correttamente, necessita degli ormoni androgeni, tra cui ricordiamo il testosterone, prodotto nei testicoli, il diidroepiandrosterone, prodotto dalle ghiandole surrenali, e il diidrotestosterone, prodotto dalla prostata stessa.

Data la sua posizione anatomica, influisce sul modo di urinare e anche sulla defecazione.

Abitualmente, si definisce prostatismo quell’insieme di sintomi che possono interferire con la funzione urinaria, alterando lo svolgimento delle attività quotidiane o di svago, creando uno stato d’ansia e imbarazzo, arrivando a disturbare il sonno e penalizzando gravemente l’attività sessuale.

Gli attuali anziani sopportano con disagio i disturbi minzionali e, incoraggiati dai grandi progressi terapeutici dell’urologia, vogliono giustamente contrastare questi sintomi, un tempo considerati un’inevitabile, anche se dolorosa, conseguenza dell’età.
Inoltre, sempre più numerosi sono i giovani che consultano lo specialista per problemi funzionali o riproduttivi, riconducibili ad una patologia prostatica, spesso di natura flogistica. Sarebbe quindi un errore di valutazione clinica ritenere che la patologia prostatica sia appannaggio esclusivo della terza età.

Quando si parla di “ingrossamento” della prostata, o adenomatosi benigna – detto in sigla “Ipb”, ossia Ipertrofia prostatica benigna – tipico dell’età avanzata, si intende l’ipertrofia di quella parte ghiandolare posta a ridosso dell’uretra. Pertanto, nel contesto della prostata cresce una specie di “nuova ghiandola” che esercita una pressione sulla prostata stessa verso l’esterno.

Se questo anomalo sviluppo è lasciato a se stesso, la prostata può raggiungere nel suo complesso anche le dimensioni di un pompelmo, con la “prostata vera” schiacciata all’esterno.

l’Ipb inizia a svilupparsi molto presto, già dopo i 30 anni, con una prevalenza che aumenta con l’età in tutta la popolazione maschile, ma non in tutti i soggetti cresce con la medesima velocità.

Inoltre, prostate con piccoli adenomi possono dare molti disturbi e prostate grandi possono anche essere silenti. Più del 50% degli uomini con un’età compresa tra i 60 e 69 anni ha una Ipb clinicamente significativa.

Non si conosce con esattezza la causa dell’Ipb. Si ritiene che, a seguito dello stimolo dato da minzioni frequenti, dalle eiaculazioni e dalle infiammazioni locali, si verifichino dei microtraumi che possono causare l’accrescimento della porzione peri-uretrale.

Solitamente, i sintomi dell’Ipb sono accentuati dal freddo (è osservazione comune che il “prostatico” urini peggio nelle giornate fredde) e possono consistere in:

Scopo della terapia dell’Ipb è quello di ridurre o risolvere l’ostruzione locale facendo urinare meglio il paziente, migliorando la qualità di vita, facendo in modo che i reni e la vescica non soffrano, così da produrre ed eliminare le urine in modo adeguato.

un’altra malattia assai frequente e diffusa, sebbene spesso poco chiara, è la prostatite. Colpisce circa il 10% degli uomini sessualmente attivi (sembrerebbe che quasi il 50% degli uomini abbia, almeno una volta nella vita, un episodio infiammatorio della prostata più o meno intenso). Si può distinguere in:

acuta, con febbre elevata, dolore perineale, minzioni frequenti (pollachiuria) e/o dolorose (stranguria) e/o difficoltose (disuria);
cronica, con sintomi che possono essere scarsi o poco significativi. Infatti i disturbi possono essere persistenti, ricorrenti o di vario tipo: “fastidio” all’uretra, disturbi urinari aspecifici, senso di peso perineale, fastidio testicolare.

Nella fase acuta può essere difficoltoso avere un rapporto sessuale; nella fase cronica nulla vieta avere un’attività sessuale regolare. Talvolta possono essere presenti disturbi dell’eiaculazione, spesso più precoce di quanto non avvenga normalmente per il paziente, oppure dolorosa o semplicemente fastidiosa.

I fattori che scatenano la prostatite sono molteplici e talvolta possono agire contemporaneamente, dando luogo a diverse forme. Le principali cause possono essere:

Nelle forme croniche, bisogna sconsigliare l’astinenza prolungata o atteggiamenti di “genitalizzazzione”, come pensare sempre al fastidio distrettuale, angosciarsi per ogni bruciore anche se di lieve entità, disperarsi per un rapporto sessuale non “tecnicamente perfetto”.
Considerando un’altra evenienza, quella dei tumori prostatici, in particolare quelli maligni, solo 20 su 100 originano dall’Ipb. Non è stato dimostrato che adenomi prostatici grandi degenerino in cancro più facilmente di quelli piccoli. Pertanto, non si deve scegliere necessariamente di operare l’Ipb per prevenire l’evoluzione maligna.

La presenza di cellule cancerose nella prostata è rara prima dei 40 anni (1%), ma con il progredire dell’età diviene estremamente frequente fino ad interessare quasi il 100% degli uomini oltre i 70 anni. Però solo in una parte di casi queste cellule si sviluppano dando origine ad un tumore clinicamente manifesto.

In Italia, le neoplasie maligne della prostata rappresentano la terza causa di morte tra i tumori, con una percentuale più elevata nel Nord. Attualmente, ogni italiano con più di 65 anni ha circa il 3% di probabilità teorica di morire a causa di questa patologia, che rappresenta la seconda neoplasia per incidenza, dopo il carcinoma polmonare, nella popolazione maschile al di sopra dei 50 anni.

Secondo i dati riferiti al 2005 dal Reparto di epidemiologia tumori del Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute presso l’Istituto Superiore di Sanità, ogni anno, in Italia si registrerebbero 42.804 tumori della prostata, con 9.070 decessi. Poiché l’età media della popolazione maschile italiana è sempre più elevata, non può che peggiorare l’incidenza di questo tumore, rispetto al quale l’età è uno dei principali fattori di rischio conosciuti.

I sintomi delle neoplasie prostatiche maligne sono scarsi o assenti nelle prime fasi; spesso si associano a quelli di una Ipb coesistente e tendono a riassumersi in difficoltà della minzione. Per questo, dopo i 40-50 anni di età si raccomandano controlli specialistici regolari.

Il principio fondamentale per ridurre il pericolo è l’attenzione e la sensibilità alla prevenzione, proprio come per altri tumori ad elevata incidenza, come ad esempio il tumore della mammella. Purtroppo, le statistiche ci dicono che gli uomini sono molto più restii delle donne ad adottare regolarmente misure per la prevenzione e la diagnosi precoce.

La Società oncologica americana raccomanda, a tutti gli uomini di età compresa tra i 50 e i 70 anni, di sottoporsi annualmente ad esplorazione rettale della prostata e ad un dosaggio, con prelievo di sangue venoso, dell’antigene prostatico specifico (detto Psa), che è una proteina prodotta esclusivamente dal tessuto ghiandolare prostatico con funzione di fluidificare il liquido seminale (solo il 22% dei maschi italiani tra i 50 e i 70 anni di età conosce il significato del test del Psa). Tale raccomandazione viene estesa agli uomini al di sopra dei 40 anni se di razza nera o se vi è una storia famigliare di tumore prostatico.

Bisogna ricordare che fattori di rischio sono anche: fattori ormonali (il tumore della prostata è androgeno-dipendente); fattori occupazionali (esposizione a sostanze chimiche); fattori dietetici (un elevato apporto di grassi con la dieta sembra comportare un incremento dell’incidenza di carcinoma della prostata).

Nei Paesi sviluppati, sembra ragionevole che tutti gli uomini inizino i controlli per la prostata annualmente dai 45 anni di età, eseguendo almeno ogni 2-3 anni l’ecografia prostatica transrettale, richiesta dall’urologo. Se necessario, la componente diagnostica può includere a volte anche la biopsia prostatica.

Negli ultimi anni, sono stati commercializzati farmaci estremamente efficaci nel ridurre i disturbi causati dalla patologia della prostata, contro l’Ipb in particolare: alfa litici; inibitori della 5 alfa reduttasi; fitoterapici. Si tratta di medicine che vanno prese per lunghi periodi e che, attraverso modalità d’azione differenti, allargano il canale urinario che attraversa la prostata, permettendo così un deflusso più agevole dell’urina. Grazie a tali farmaci, il numero dei pazienti che devono essere trattati chirurgicamente si è fortemente ridotto negli ultimi tempi.

Studi epidemiologici hanno suggerito che la Vitamina E può influenzare, se carente, lo sviluppo del tumore della prostata, mentre una dieta con supplemento di Selenio può ridurre del 50% l’incidenza di tale patologia, così come altre sostanze sono rilevanti nel ridurne l’incidenza, quali il thè verde, l’aglio.

Considerando la terapia chirurgica, l’adenomectomia è l’intervento tradizionale che si effettua attraverso l’addome. Con questa operazione, si asportano la ghiandola prostatica, le vescicole seminali e i linfonodi posti in prossimità della ghiandola. Gli svantaggi sono legati alla necessità di affrontare un rischio chirurgico notevole, che pertanto richiede delle condizioni generali buone, l’ospedalizzazione per alcune (due/tre) settimane e una convalescenza di alcuni mesi, un alto rischio di impotenza e possibilità di incontinenza urinaria.

l’attuale terapia chirurgica di riferimento è la resezione trans-uretrale della prostata per via endoscopica (TUR-P: Trans-Urethral Resection of the Prostate). Alcune sue possibili complicanze sono l’eiaculazione retrograda, la stenosi uretrale e l’incontinenza urinaria. E’ adatta in pazienti con moderati o gravi disturbi minzionali non rispondenti alla terapia medica.

Accanto a queste due tecniche tradizionali sono state proposte negli ultimi anni numerose altre procedure endoscopiche meno invasive, come l’incisione trans-uretrale della prostata (TUIP), impiegata in prostate di ridotte dimensioni ed in pazienti giovani, soprattutto quando l’ostruzione è limitata al collo vescicale; oppure l’elettrovaporizzazione o la termoterapia (con temperature superiori ai 45 gradi centigradi) mediante diverse fonti di energia. Spesso queste tecniche permettono di conservare l’eiaculazione.

un’alternativa potrebbe essere l’enucleazione dell’adenoma prostatico con il Laser, così come altre terapie conservative come la Radioterapia loco-regionale: può essere effettuata senza ricovero, con una discreta possibilità di contenere lo sviluppo del tumore e in alcuni casi di guarirlo. Può essere effettuata anche in età avanzata e in condizioni generali non ottimali. Gli svantaggi consistono in senso di stanchezza, reazioni cutanee nelle aree trattate, necessità di urinare spesso e con bruciori, nausea, diarrea, irritazione del retto, rischio di impotenza.

Bisogna sottolineare che la maggior parte di questi effetti cessano con la fine della terapia.

Ricordiamo anche la Crioterapia con controllo ecografico intra-operatorio. Il freddo, generato con apparecchiature specifiche introdotte nella prostata, distrugge i tessuti tumorali che vengono successivamente riassorbiti. I vantaggi della metodica sono: breve periodo di ospedalizzazione; convalescenza breve; possibilità di eseguire la terapia anche in età avanzata e in condizioni generali scadenti; scarsità di complicanze; ripetibilità della procedura ove necessario; possibilità di scegliere in un tempo successivo altre forme di terapia. Gli svantaggi consistono in: necessità di dover eseguire, in alcuni casi, ulteriori crioterapie; rischio di impotenza.

In casi particolari, è presa in considerazione l’orchiectomia correlata ai tumori della prostata: ha un impatto psicologico rilevante. Però, a suo vantaggio, non richiede di assumere terapie ormonali complementari con LH-RH analoghi, che diminuiscono i livelli di testosterone.

Il ricorso a questi farmaci permette alla prostata e al tumore di diminuire in volume, con riduzione della sintomatologia correlata. Però, al pari dell’orchiectomia, causano impotenza e vampate.

Come per le altre attività fisiche, generalmente anche per la ripresa di una normale attività sessuale dopo un intervento chirurgico è consigliabile un periodo di riposo di circa un mese.

Concludiamo ricordando che un’opinione generalmente diffusa individua nel tumore prostatico maligno un sinonimo di morte certa e imminente. Si tratta di una convinzione assolutamente falsa e ingannevole. Infatti, le neoplasie della prostata, anche maligne, possono essere agevolmente diagnosticate in una fase precoce e pertanto suscettibili di trattamento radicale, con una guarigione completa; inoltre, per le caratteristiche di lentissimo accrescimento, la neoplasia maligna permette una lunga sopravvivenza anche nella grande maggioranza dei casi in cui sia scoperta in uno stadio non più suscettibile di guarigione.

BIBLIOGRAFIA
– Enrico Pisani, Emanuele Montanari, Alberto Mandressi, Alberto Trinchieri, Emilio Patelli, Istituto di Urologia
dell’Università di Milano: Caleidoscopio Rivista monografica di Medicina, Patologie prostatiche, ISSN 0394 3291 – 29, Edizioni Medical Systems Spa;
– Seconda Università degli Studi di Napoli, Anno Accademico 2008-2009, Lezioni di Urologia, Patologie Prostatiche;
– C. Bellorofonte, S. Dell’Acqua, G. Mastromarino: Apparato urogenitale, in Manuale di Geriatria e Gerontologia (A. E. Tammaro, G. Casale, A. Frustaglia) Edizioni Mc Graw – Hill.

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