Dai dischi agli Mp3, lungo il percorso delle menti musicali degli over sessantenni

Scritto da Paolo Ferrario il 09-02-2012

Su Muoversi Insieme di Stannah abbiamo già parlato del rito” del festival di Sanremo che si rinnova ogni anno all’avvicinarsi della primavera. In quelle serate ci viene ricordato che le parole e le musiche ascoltate dal palcoscenico accompagnano da sessant’anni la storia della società italiana e le nostre personalissime biografie. In quest’articolo prenderemo in analisi un altro aspetto della “memoria musicale” inscritta nelle persone che hanno vissuto quest’arco di tempo: vogliamo mettere al centro dell’indagine i cambiamenti delle tecnologie che rendono possibile l’ascolto e i loro effetti sulle abitudini e comportamenti.
In realtà la storia comincia molto prima, con il Disco: una lastra circolare di materia sintetica per mezzo della quale è possibile riprodurre musiche e suoni incise sulle sue tracce.
La “musica di massa”, ossia accessibile a un pubblico vasto e non solo ai ristretti circoli delle aristocrazie della borghesia ottocentesca, comincia attorno al 1877, quando Thomas A. Edison inventa un tipo molto primitivo di grammofono, cui diede il nome di fonografo“. Ma il principio del disco grammofonico, piatto e rotondo, fu concepito dal fisico Emil Berliner un anno dopo: il disco veniva collocato su un piatto messo in rotazione con un motore a molla. Dopo parecchi tentativi si impose la velocità standard dei 78 giri e la musica che si muove nell’aria cominciò ad avere i suoi supporti materiali che le consentiranno di entrare nelle case e fra le famiglie.
Nel secondo dopoguerra e, dunque, nel periodo evolutivo dei post sessantenni il giradischi entra a far parte dell’arredamento delle abitazioni e diventa una tecnologia di distinzione che campeggia nel “salotto” di soggiorno. La durata dei dischi a 78 giri (tipici degli anni ’40) era di circa 4 minuti a facciata: questa unità di tempo è stata inizialmente determinante nel condizionare la struttura ideativa delle canzoni e della stessa musica jazz. La maggior parte della produzione di quest’ultimo tipo di musica, che molto ha influito sui gusti degli italiani che in quel decennio si avvicinavano alla cultura americana, erano organizzate sulla base di incontri durante i quali venivano effettuate più registrazioni, chiamate “takes”, ossia versioni multiple dello stesso brano fra le quali si sceglieva l’esecuzione migliore. Nei primissimi anni del ‘900 il jazz poteva essere ascoltato solo suonato dal vivo nelle strade e nelle sale da ballo. Poi, negli anni ’20 – ’30, nei fonografi e nei locali notturni. Negli anni ’40 – ’50 le fonti primarie divennero la radio, i dischi, i film.

Tuttavia c’era un problema da risolvere. La durata dei 4 minuti di un 78 giri costituiva una forte limitazione per altri generi musicali: l’ascolto della Messa in si minore di Bach, per esempio, rendeva necessari 17 pesanti dischi. Per rimediare occorreva diminuire la velocità di rotazione del disco o tracciare solchi più sottili sulle lastre, senza diminuire la qualità sonora. I progressi tecnici portarono al Disco microsolco. Nel 1948 la statunitense Columbia Records impose lo standard dei dischi LP (Long Playing) a 33 giri, capaci di contenere dai venticinque ai quaranta minuti di musica per facciata. Ora un’intera sinfonia era disponibile in un solo disco. Il tipo di materiale e la riduzione della velocità, inoltre, facevano diminuire il rumore di fondo e migliorare la qualità sonora.
Le grandi case discografiche adottarono rapidamente questo supporto e i loro cataloghi vennero continuamente arricchiti, per la gioia consumatrice degli ascoltatori e collezionisti. Il formato delle buste cartonate dei 33 giri (31 x 31 centimetri) furono anche il supporto per splendide copertine, che diedero lavoro espressivo a grafici e fotografi per i vent’anni successivi. La RCA Victor, nel 1949, a sua volta introdusse un proprio microsolco costituito da un disco di 18 centimetri che ruotava a 45 giri al minuto. Il 33 giri sviluppò la moda dell'”alta fedeltà”, che si traduceva in un forte indotto dell’industria dei giradischi: altoparlanti montati in casse acustiche, amplificatori, puntine di zaffiro ultrasensibili, bracci di lettura bilanciati. Il 45 giri divenne il più competitivo supporto per la musica leggera e i juke-box. La generazione dei sessantenni ricorda bene come le loro adolescenze trascorrevano anche nei bar dove queste macchine (con gettoni da cinquanta o cento lire),
in modo quasi “magico”, andavano a prendere il disco che era stato digitato sulla lista, alla voce cantante/titolo, lo deponevano sul piatto e la puntina ne diffondeva le note per tutte le persone presenti. La versione Columbia veniva preferita per le esecuzioni a “lunga programmazione”, mentre il 45 giri diventò il supporto fondamentale per i singoli standard, decisivi per l’impulso del mercato giovanile, e che si potevano sentire nei cosiddetti “mangiadischi”, anticipando così, in forma elementare, l’elevatissima portabilità dei nostri giorni.

Il baby-boom degli anni immediatamente successivi alla fine della guerra conduceva nei negozi di dischi un’estesa platea di giovani disponibili a spendere denaro in musica. E’ negli anni ’50 che si forma, a partire dagli Stati Uniti per arrivare all’Europa, una diffusa cultura di appassionati alla “popular music“. Basti pensare a Frank Sinatra (1915-1998) e ai crooners, che devono il loro nome (“sussurratori“) alle personali dotazioni vocali rese, però, possibili dalla sensibilità dei microfoni e dalle tecniche di riproduzione. I “Sinatra’s Songs For Swingin’ Lovers e “Swingin’ Affair” facevano balzare il cuore e educavano gli adolescenti alle relazioni sentimentali. Ma anche Elvis Presley (1935-1977) alternava alla sovreccitazione del rock vero e proprio, ballads lente e romantiche, cantate con un’affettività che preludeva alla successiva liberazione sessuale. Il rock creò un mercato di massa capace di mobilitare interessi finanziari fortissimi, al cui confronto la musica classica appariva estremamente modesta.  Ma c’è un altro dato storico da mettere in rilevo. Nel 1958 il festival di Sanremo fu vinto da Domenico Modugno (1928-1994) con la canzone Nel blu dipinto di blu: viene fatta risalire a quel periodo, perlomeno in Italia, l’origine della figura del “cantautore”, ossia dell’identificazione artistica fra l’autore di un testo e la sua interpretazione musicale. In ogni caso questi due sviluppi (il mercato di massa e una nuova tipologia di artista) furono favoriti dai supporti plastici dei 33 e 45 giri.
Anche il magnetofono (oggi diremmo registratore) e i nastri magnetici hanno avuto un ruolo importante. Inizialmente i nastri giravano su bobine circolari di difficile gestione, ma ben presto, dalla metà degli anni ’60, fu trovata la soluzione tecnica: racchiudere il nastro nelle audiocassette, da inserire in piccoli utensili portatili, i cosiddetti “walkman“, inventati dai giapponesi della Sony. Con questa tecnologia, che ha segnato l’epoca degli anni ’70 e ’80, i singoli brani potevano svincolarsi dalla gabbia del disco e si potevano fare registrazioni antologiche personalizzate che “permettevano di ascoltare ma anche di far ascoltare quella musica, quei dischi, quelle canzoni, quei gruppi a qualcun altro” (Ernesto Assante). Tutto questo lo si faceva con le audiocassette, antenate delle attuali playlist.
Inizia qui la fase dell’interattività che oggi ha raggiunto livelli stratosferici, ma contemporaneamente c’è la svolta tecnica del CD (Compact Disk), brevettato dalla Philips nel 1979, che sostituiscono i “vecchi” dischi in vinile. I nuovi dischetti sono piccoli, hanno un diametro di 12 centimetri, possono contenere oltre 74 minuti di musica senza interruzioni ed hanno un’ottima resa sonora. Anche i lettori laser che li fanno funzionare sono molto meno ingombranti dei giradischi e, soprattutto sono portatili. Il passaggio dai Long Playing ai Compact Disk inizialmente non piaceva a chi si era affezionato ai precedenti supporti. “Si era perso il fascino dell’oggetto, persa la sua elegante vulnerabilità, persa l’unicità delle copertine e delle confezioni, persa la sfogliabilità e la leggibilità dei testi, persa per alcune scuole di pensiero perfino la qualità sonora, persa ogni ritualità consolidata da decenni di uso” (Luca Sofri). La piccola confezione del Cd riduce la carica artistica che era possibile esprimere negli album a 33 giri tramite le immagini e i testi delle copertine. Ma questo senso di perdita ben presto si diluisce nell’arco di un decennio e si andrà sempre di più verso la miniaturizzazione e “smaterializzazione” dei supporti. Basta scorrere le date: radio a transistor (1954),
registratori a cassette (1963),
walkman (1978, Cd (1982),
lettori portatili di Mp3 (1996).

Ora il formato standard è l‘Mp3 (più precisamente l’MPEG Motion Picture Experts Group Audio Layer III),
nato in un laboratorio tedesco nel 1987 e lanciato nel 1993. l’obiettivo di questa tecnologia è di ridurre le dimensioni dei files audio, senza grandi perdite di qualità sonora, perché devono correre in internet e raggiungere i miliardi di Pc fra loro collegati. Inoltre, in cuffia sono assolutamente perfetti. l’Mp3 è versatile, è copiabile con strumenti casalinghi, corre veloce e cambia del tutto il mercato discografico. Ma cosa fare con i vecchi LP da 33 giri? I nativi degli anni ’40 e ’50 ne hanno lunghi scaffali pieni, belli infilati nelle loro custodie di plastica, per proteggerli dalla polvere. Sono dischi con copertine spesso bellissime, come si è detto: veri quadri pittorici in formato 30 per 30, come quelli che sapeva disegnare Peppo Spagnoli della Splasc(h). Certamente si potevano trasferire su audiocassetta, ma rinunciando alla compatibilità con le tecnologie audio oggi dominanti. E allora ecco venire in aiuto, ancora una volta il mercato. Si inventano hardware costituiti da un giradischi collegabile con un cavo alla presa Usb del Pc. Si mette il disco 33 giri (ma funziona con i 45 giri ed anche con le cassette),
si registra la facciata, si dà il nome alle tracce e, con qualche procedura attenta, le preziose musiche jazz e pop degli anni ’50, ’60, ’70 diventano files Mp3: elettroni strutturati che viaggiano sui fili di internet, diventando unità audio diffuse, fruibili, avvicinabili, ascoltabili per il piacere soggettivo e intersoggettivo al costo di circa 10 Cd acquistabili nei negozi.

La vendita di dischi conosce la più importante crisi di settore e si reindirizza verso gli acquisti online sia dei Cd sia dei singoli files. Ma la più veloce e intensa rivoluzione diffusa, molecolare, elettronica e democratica l’ha inventata Steve Jobs con l’iPod, ossia quei minicomputer tascabili e dotati di una memoria sufficiente a immagazzinare (a un costo assolutamente concorrenziale rispetto ai Cd) migliaia di tracce musicali. “l’iPod mi aiutò a ristabilire una relazione con dischi che non sentivo da anni. Cominciai a disossare la mia collezione di dischi, sventrando i vinili per poi importarli con iTunes. Iniziai a passare ogni minuto libero a rovistare dentro ogni Cd, album, singolo e cassetta alla ricerca di canzoni degne dei nuovi giocattoli” (Dylan Jones.)
l’ iPod è stato ed è un oggetto di status e di tendenza che oggi si contende il suo spazio fra altri diversi modi di fruire la musica: radio, televisione, cellulari, computer. Non è più il tempo dei bar con il juke box, della radio a transistor o del giradischi casalingo accanto al divano. La musica si consuma in modo frammentato e diffuso sui treni, alle stazioni, nei luoghi e non luoghi della mobilità. E’ vero che si è perso in materialità dei supporti, tuttavia oggi ci sono più “dischi” (virtuali) di quanti una persona possa ascoltare in tutto il ciclo della sua terrena esistenza. Anche potendosi permettere di acquistarli (ma più spesso copiarli) tutti è umanamente impossibile trovare il tempo, questo sì scarso, per sentire tutta questa musica. Ecco perché ridiventa necessario educare e affinare il gusto: occorre imparare a scegliere autori e musica nel reticolare emporio di internet. Proviamo a usare All Music Guide, ad avere fiducia nei consiglieri di musica jazz come Norbert Ruecker, a inseguire i viaggi personali nella musica pop di Ezio Guaitamacchi, Nick Hornby, Ernesto Assante e Gino Castaldo, oppure a percorrere il sito del documentatore italo-americano Piero Scaruffi.
Il ciclo storico del vinile è durato 30 anni e quello del Cd e delle audiocassette circa 20. Oggi le innovazioni hanno tempi sempre più brevi. Gli individui della generazione dei post sessantenni hanno vissuto come “consumatori creativi” tutte queste svolte tecnologiche adattandosi e imparandone l’uso attraverso lo studio e apprendimento di manuali e istruzioni spesso difficili. Alcuni hanno rinunciato a farlo. Ma la mente musicale è produttrice di forti energie che supportano i cambiamenti. Lo scrittore Giuseppe Pontiggia parlava della sua ingordigia di libri come di una “libridine” (libidine per il libro). Cos’è quest’altra passione di suoni creati dall’ingegno umano che si strutturano in schemi armonici che accarezzano il cervello? Una “musicalidine“?
Forse non è un neologismo altrettanto efficace di quello di Pontiggia.
Cosa verrebbe in mente al lettore di questo percorso storico e biografico?

 
Fonti bibliografiche:
Enciclopedia della musica: piaceri e seduzioni nella musica del XX secolo, Einaudi/Il Sole 24 ore, 2006
Storia della civiltà europea: il Novecento, volume 18, Musica, Corriere della Sera, 2008
La canzone italiana 1861-2011, storie e testi, a cura di Leonardo Colombati, Mondadori, 2012
Ernesto Assante, Copio dunque sono, la rivoluzione che ha cambiato la musica, Coniglio editore, 2009
Ezio Guaitamacchi, 1000 canzoni che ci hanno cambiato la vita, Rizzoli, 2009
Dylan Jones, iPod, dunque sono, Marco Tropea editore, 2005
Luca Sofri, Playlist: la musica è cambiata, Rizzoli, 2006

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