XVIII Giornata Mondiale Alzheimer - Relazione e comunicazione con la persona colpita da demenza (parte prima)

Scritto da Luciana Quaia il 19-09-2011

Il 21 settembre anche quest’anno ci ricorda una malattia drammatica su cui  la ricerca scientifica, pur compiendo notevoli progressi, non ha ancora raggiunto un rimedio risolutivo.
l’Alzheimer è la forma più diffusa di demenza ed è caratterizzata dal progressivo degrado delle cellule cerebrali che determina, col trascorrere del tempo, l’incapacità di un soggetto di portare a termine le più semplici attività quotidiane. Il globale declino delle funzioni intellettive incide anche sul deterioramento della vita di relazione, dovuto alla difficoltà di riuscire a controllare le proprie reazioni emotive e comportamentali.
Sapere che la stranezza del comportamento della persona che ci vive accanto è causata dalla malattia è solo l’inizio di un lungo processo di accettazione e di costante adattamento a una personalità continuamente mutevole e a difficoltà legate soprattutto ai disturbi della comunicazione.
Il peggioramento rilevato nel farsi capire o capire gli altri è una delle conseguenze più devastanti che malato e familiare devono affrontare.
Comunicare è infatti per l’essere umano, come per tutti gli esseri viventi, un bisogno fondamentale.
Nel malato di Alzheimer la capacità di organizzare frasi in un discorso fornito di significato viene a cessare con la progressione della patologia. Verbalizzazione, scambio, codifica e decodifica dei messaggi inviati e ricevuti non potranno più rappresentare la modalità tramite cui gli individui interagiscono tra loro, ma dovranno trovare invece  nuove forme di espressione al fine di garantire uno scambio relazionale atto a fornire protezione, sicurezza e serenità  alla persona che sta subendo deprivanti trasformazioni.
Le indicazioni che seguono intendono agevolare la relazione interpersonale tra persona che assiste e persona malata e tengono conto di due livelli di comunicazione: quella classicamente attribuita al linguaggio convenzionale (modello verbale) e quella relativa all’insieme dei segni che accompagnano le espressioni linguistiche, ovvero la comunicazione non verbale (orientamento dello sguardo, espressioni del volto, tono della voce, gestualità, movimento del corpo, postura, distanza) cui il paziente diventa particolarmente sensibile.
I suggerimenti per ottenere una comunicazione efficace iniziano con un’affermazione: è importante continuare a verbalizzare ciò che si fa anche se si ha l’impressione che la persona assistita non sia in grado di capire.
Spesso, infatti, a causa della difficoltà nel formulare parole corrette o della lentezza della risposta, si tende a sostituire il linguaggio con il silenzio, la qual cosa produce nel malato la sensazione di non essere più considerato come parte attiva di un rapporto, causando quindi  un aggravamento del ritiro psicologico da qualsiasi relazione sociale.
Semplici accorgimenti aiuteranno la persona in difficoltà a potersi esprimere secondo le proprie possibilità, che variano a seconda della fase della patologia.
Vediamoli:
–    E’ importante verificare innanzi tutto che il contesto ambientale non presenti eccessivi “rumori” che potrebbero interferire nella già complessa ricezione da parte del malato.
–    Stabilite sempre un contatto visivo e mantenete una vicinanza sia quando gli parlate sia quando lo ascoltate. Questa modalità mostrerà il vostro interesse a comprendere problemi e necessità.
–    Il linguaggio verbale deve utilizzare frasi brevi, precise, composte da parole semplici e chiare e maggiormente in uso nel vocabolario utilizzato dal malato. Espressioni complesse, descrizioni dettagliate, uso di pronomi personali, ricorso a verbi nei tempi passato, congiuntivo, condizionale, futuro, disorientano e confondono ancor più il vostro interlocutore.
–    Inventate nuovi linguaggi: il canto, il dialetto, il suono onomatopeico, alcune parole straniere (in base alla sua provenienza geografica o periodi trascorsi all’estero) costituiscono forme alternative ma efficaci di rapporto.
–    Quando presentate una domanda, non dovete pretendere una risposta immediata: spesso il tempo per rielaborare una replica, anche parziale, può essere lungo. Porre inoltre un quesito per volta e se si presenta la necessità di riformularlo, ripeterlo in modo che la persona possa rispondere solo sì o no.
–    Anche nel caso il linguaggio sia gravemente compromesso, non tralasciate di offrire informazioni su ciò che si sta per fare. La comprensione potrebbe essere agevolata se si utilizzano oggetti o segnali inerenti alla conversazione (es. “Hai sete?” Mostrare contemporaneamente la bottiglia o un bicchiere).
–    Evitate espressioni di rifiuto o di disconferma.  Es.” Mi hai portato via il vestito!” Risposta: “Ma no, cosa dici, è nel tuo armadio”. La percezione del malato può essere distorta o disturbata da forme di delirio. Convincerlo che la sua realtà non esiste o insistere per correggere un comportamento non conforme significa indurre modificazioni umorali anche aggressive.
–    Non spazientitevi di fronte all’ossessiva ripetizione della stessa domanda. Sappiate che non lo fa apposta; la sua memoria recente non esiste più, per cui effettivamente non ricorda di aver fatto quella domanda e tanto meno di averne ricevuto risposta.
–    Di fronte ad errori o vistose difficoltà verbali, evitate di intervenire con correzioni, rimproveri o anticipazioni della parola non trovata, perché questo atteggiamento produce disistima e timore di essere giudicato, aggravando ulteriormente una situazione già precaria.
–    Evitate di parlare delle manifestazioni comportamentali del malato con altre persone in sua presenza, credendo che non vi capisca. La probabilità che colga alcune parole principali è alta e comunque il tono utilizzato nella descrizione potrebbe umiliarlo.

Dicevamo dell’importanza della comunicazione non verbale . Essa è correlata alla manifestazione delle emozioni, dei sentimenti, di tutto ciò che si “nasconde” dietro il significato delle parole. E’ il linguaggio universale che ogni persona è in grado di afferrare e comprendere al di là delle capacità cognitive possedute.
Ecco perché con il malato di Alzheimer diventa essenziale concentrare lo sforzo su questa forma di comunicazione: il volume della voce dovrà essere moderato, poiché un volume troppo alto può essere facilmente associato ad un sentimento di rabbia o aggressività; l’espressione del volto distesa da un sorriso potrà favorire un clima rilassante; una gestualità rassicurante, comprensibile, che offra uno stimolo imitativo, unitamente a movimenti non bruschi permetterà al malato di potersi fidare della persona che gli sta di fronte; lo stabilire un contatto visivo gli darà modo di meglio comprendere il messaggio inviato e gli eviterà di spaventarsi (succede quasi sempre quando si sopraggiunge alle sue spalle); un contatto fisico gentile come una carezza, tenerlo per mano, cingere le spalle lo aiuterà a sentirsi accolto e amato.
Naturalmente anche il familiare dovrà acquisire la capacità di interpretare le nuove forme di linguaggio manifestate dall’assistito. Quelli che vengono conosciuti come disturbi del comportamento, infatti, sono spesso forme comunicative di disagio, attraverso le quali il malato agitato ci vuol dire che “qualcosa non va”.
In genere si innervosisce, arrabbia, deprime, quando: gli si fa fretta; si alza la voce; gli si richiedono comportamenti al di sopra delle sue capacità; l’ambiente non è idoneo.
Possono sussistere inoltre altri fattori scatenanti individuabili attraverso l’osservazione. Le maggiori cause potenziali riguardano malattie fisiche, dolore, stanchezza, eccessiva stimolazione,
abbassamento della soglia di stress, individui o ambiente sconosciuti.
Non è facile mantenere un lucido distacco quando chi ci sta accanto da tanto tempo mostra lati di sé totalmente estranei al suo carattere, ma è proprio non abbassando mai la guardia che difendiamo la PERSONA che continua ad essere colui che è colpito da una malattia di nome demenza. Una persona con il proprio passato, le proprie abitudini e il bisogno costante di essere accettato. Nonostante l’oblio della mente, emozioni e sentimenti permangono e con essi la capacità di distinguere l’affetto o la rabbia, la sofferenza o la gioia, la calma o la preoccupazione.
La comunicazione fatta col “cuore” dunque è il mezzo più efficace per instaurare un rapporto empatico, di fiducia, che riduce l’ansia e rafforza la dignità e, al tempo, fornisce un concreto e reale sostegno a chi ne ha bisogno.

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