Artrite reumatoide

Scritto da Massimo Tanzi il 27-04-2012

Riprendiamo quanto brevemente accennato il mese scorso, cioè:
l’Artrite Reumatoide (AR) è la malattia infiammatoria cronica poliarticolare più diffusa. La sua prevalenza sale da circa 1,6-1,9% (tra i 60 ed i 69 anni) a 2,5-2,8% (oltre i 70 anni).
La prima descrizione di questa forma di malattia nell’anziano risale a circa 70 anni fa (1941).
Essa costituisce un evento sempre più frequente nell’ambito dell’attività specialistica, geriatrica e reumatologica: circa venti anni fa, già il 40% dei pazienti artritici afferenti ai centri specialistici reumatologici aveva un’età maggiore di 60 anni. Attualmente si può affermare che, in considerazione dei mutamenti demografici, tale percentuale supera il 50% dei soggetti.
Possiamo distinguere coloro che soffrono della malattia già dall’età adulta da quelli in cui l’AR compare dopo il 60° anno di età. Si stima che questi ultimi rappresentino circa un terzo della popolazione reumatoide complessiva.
Attualmente, non c’è chiarezza in che termini la forma ad esordio senile si distingua da quella del giovane adulto.
Ancora oggi la malattia è definita in base ad una serie di criteri elaborati nel 1987 dell’American College of Rheumatology:
1. Rigidità articolare mattutina di almeno 1 ora;
2. Artrite di tre o più articolazioni;
3. Artrite delle inter-falangee prossimali, delle metacarpo-falangee, dei polsi;
4. Artrite simmetrica;
5. Noduli reumatoidi;
6. Positività del fattore reumatoide;
7. Erosioni e/o osteoporosi iuxta-articolare a mani e/o polsi, presenti nei controlli radiografici.
Nella forma clinica tradizionale, se almeno 4 dei 7 criteri sono soddisfatti possiamo riconoscere la malattia. I primi 4 criteri devono persistere almeno per 6 settimane.
Sicuramente, le modificazioni età-correlate del sistema immunitario ed ormonale possono influenzare l’espressione della malattia stessa.
Esiste un’innegabile difficoltà nel definire le manifestazioni articolari dolorose fin dalle prime fasi. Il medico dovrà porre attenzione, inizialmente, non tanto alla definizione nosologica, quanto a due aspetti fondamentali:
a) valutare precocemente se si tratta di una forma infiammatoria articolare sistemica, suggestiva per artrite reumatoide;
b) identificare i fattori predittivi di cronicità, oltre alla severità della malattia.
Il 75% dei pazienti con AR di recente insorgenza sviluppa erosioni articolari, molte delle quali entro i primi 2 anni dall’esordio della malattia. Il danno articolare è molto precoce; spesso precede le manifestazioni cliniche. Il tessuto sinoviale di articolazioni asintomatiche documenta alterazioni istologiche suggestive per una sinovite subclinica.
Quindi, il tempo di esposizione delle articolazioni al processo patologico gioca un ruolo decisivo fin dai primi mesi. In considerazione di questi aspetti, occorre sottolineare l’importanza di una diagnosi precoce.
Si definisce “AR di recente insorgenza” un quadro patologico correttamente inquadrato e diagnosticato con durata di malattia determinabile in un periodo compreso fra uno e tre anni.
Si può inoltre riconoscere una “AR molto precoce” come un’artrite di durata non superiore a 3 mesi.
Comunque, il fattore predittivo più importante di persistenza dell’artrite è la durata maggiore di 12 settimane.
Gli elementi di maggior sospetto per un’AR precoce sono i seguenti, fermo restando che la presenza di ciascuno di questi giustifica una conferma specialistica:
a) 3 o più articolazioni rigonfie;
b) interessamento delle articolazioni metatarso-falangee e/o metacarpo-falangee con test della compressione positivo (segno della gronda o squeeze test);
c) rigidità mattutina superiore a 30 minuti.
Questi aspetti si possono evidenziare indipendentemente dal riscontro di significative alterazioni degli indici di flogosi e dalla presenza del fattore reumatoide negli esami ematici.
Da un punto di vista prognostico, la malattia ha un andamento variabile: meno del 10% dei pazienti presenta un processo benigno che tende a limitarsi. Le remissioni spontanee, nelle forme classiche di malattia senza trattamento farmacologico, sono così rare da non essere sostanzialmente presenti.
Nella maggioranza dei casi, le poussées infiammatorie si alternano a periodi di stabilizzazione o regressione, mentre ancora in una percentuale non ben valutabile, ma attestabile in circa 1/3 dei casi, l’andamento è rapidamente progressivo con precoce ed importante danno articolare erosivo.
Attualmente si pensa che un paziente, il quale non presenti danno articolare erosivo entro due anni dall’esordio della malattia, difficilmente lo possa sviluppare successivamente.
Si pensa, inoltre, che il migliore parametro predittivo della disabilità a lungo termine sia costituito dal maggior grado di impegno funzionale iniziale, inteso come difficoltà a compiere gestualità quotidiane come abbottonarsi gli abiti, aprire un rubinetto o sollevare una tazza ripiena, unito ad un maggiore coinvolgimento infiammatorio presente all’esordio della malattia.
Sono risultati principali fattori predittivi della mortalità a breve e lungo termine, oltre all’età avanzata ed alla presenza di altre malattie, la positività per il fattore reumatoide (FR) e le manifestazioni extra-articolari. Anche un elevato indice di danno funzionale e l’appartenenza ad una modesta condizione socio-economica possono influenzare la prognosi.
Non è ancora stato stabilito in modo chiaro quale sia il significato prognostico di un’AR insorta nell’età senile rispetto a quella del soggetto più giovane. Numerosi studi in letteratura hanno confrontato questi due gruppi di malati, segnalando a volte una malattia nell’anziano a decorso più favorevole, mentre altre volte è sembrata meno responsiva al trattamento e quindi a maggior rischio di rapido declino funzionale.
Sembra tuttavia che una maggiore percentuale di soggetti con AR senile sieronegativa vada incontro a remissione e che in generale l’anziano, pur presentando all’inizio un maggior impegno funzionale, è in grado di migliorare sensibilmente in una fase successiva.
Uno studio, basato su una casistica italiana, ha distinto gli aspetti clinici di esordio della malattia più che verificarne l’esito a lungo termine, suggerendo come la presenza del fattore reumatoide possa influire dal punto di vista prognostico, poiché spesso associato a maggior gravità dei sintomi e più rilevante danno radiologico.
Sulla base di osservazioni generiche, si può affermare che le forme cosiddette “sieronegative”, con dolore prevalente alle articolazioni prossimali, possono essere del tutto indistinguibili dalla polimialgia reumatica (PMR) e rispondono meglio al trattamento antiflogistico.
Riassumendo, possiamo così distinguere i

1) fattori prognostici negativi legati all’AR
– Elevati indici di flogosi all’esordio, FR positivo
– Maggior numero di articolazioni interessate
– Maggior disabilità iniziale
– Danno erosivo precoce
– Manifestazioni extra-articolari

dai

2)fattori prognostici negativi indipendenti dall’AR
– Sesso femminile
– Età avanzata
– Patologie e disabilità concomitante
– Basso livello socioculturale.

Per impostare la terapia nel soggetto anziano affetto da AR, si deve sempre conoscere alcuni aspetti peculiari che possono determinare un approccio particolarmente attento e mirato. l’anziano è tendenzialmente, se non abitualmente, politrattato da un punto di vista farmacologico (per patologie concomitanti/intercorrenti).
Non bisogna mai trascurare l’aumentato rischio di interazioni farmacologiche ed il possibile danno iatrogeno: nella precedente occasione (artropatie infiammatorie nell’anziano) abbiamo già sottolineato come, in età avanzata, si assiste a modificazioni della farmacocinetica e farmacodinamica.
La terapia, quindi, deve essere particolarmente individualizzata, anche e soprattutto in considerazione delle patologie concomitanti che influenzano la qualità e l’aspettativa di vita.
Per una migliore riuscita del programma terapeutico, è necessario utilizzare il farmaco con il miglior rapporto rischio/beneficio, senza trascurare tuttavia altri aspetti come la comodità d’impiego, la comprensione dello schema posologico e l’aspetto economico.
Gli antiinfiammatori non steroidei (FANS) ed i cortisonici rimangono i farmaci di maggior impiego per l’AR anche nell’età senile, anche se è noto che l’età oltre i 60 anni è un fattore principale di rischio per danno gastroduodenale: dalla perdita ematica occasionale all’ulcera gastrica o duodenale. l’anziano ha, rispetto al giovane, un rischio medio tre volte più alto di complicanza grave e morte per lesione gastrointestinale, soprattutto da uso non corretto di FANS (così come la nefrotossicità).
Anche l’uso di cortisonici non deve trascurare la potenziale alterazione del metabolismo glucidico fino alla comparsa del diabete, la cataratta, l’atrofia cutanea e la perdita minerale ossea che può giungere all’osteoporosi (con fratture ossee da fragilità).
l’utilizzo dei cosiddetti “farmaci di fondo” (D-penicillamina, idrossiclorochina, sali d’oro, salazopiri-na, methotrexate, leflunamide, etanercept…) ha dimostrato una sostanziale efficacia anche negli anziani, benché ci siano evidenze di maggior rischio per rash cutanei, disgeusia (= disturbo del senso del gusto),
disturbi digestivi (nausea, vomito),
tossicità renale, danni oculari rispetto all’impiego nei giovani.

BIBLIOGRAFIA:
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of rheumatoid arthritis in persons 60 years of age and older in United States. Arthritis Rheum 2003;48:917-26;
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