Mark Knopfler, lo storyteller capace di “tracciare” il tempo

Scritto da Alessandra Cicalini il 11-05-2015

“Una delle cose più stupide che ho fatto nella mia vita è stata fumare. E del resto, fumavamo tutti, perché eravamo giovani e ci sentivamo indistruttibili”. Con queste parole Mark Knopfler apre sul suo canale Vevo una bellissima video-intervista, nella quale illustra, pezzo dopo pezzo, il suo ultimo album, Tracker. Uscito a metà marzo, il nuovo lavoro del quasi sessantaseienne musicista nativo di Glasgow ha scalato in pochissimo tempo le classifiche delle vendite in tutto il mondo: ma all’ex fondatore dei Dire Straits la fama importa poco, come va ripetendo da almeno vent’anni, ossia più o meno dall’addio alla band che l’aveva reso una popstar (o rockstar, se vi piace di più). Se c’è un tema che ricorre nella sua produzione solistica, anzi, è proprio il tempo e l’effetto che il medesimo produce su chi è definitivamente uscito dalla stagione dorata della giovinezza.

Di qui il titolo dell’album che Knopfler sta per portare in tournée per l’Europa e in Italia la prossima estate, in varie tappe. Tracciare il tempo all’indietro, ossia ripercorrere le fasi significative della vita di qualcuno o di un periodo cruciale nella storia di un luogo è ciò che gli preme maggiormente.

Di più, Knopfler vuole raccontarci delle storie, per la precisione tutte quelle che riesce a raccogliere quando se ne va in giro con il suo taccuino, un’abitudine presa da ragazzo – ai tempi delle sue esperienze da giornalista – che l’ha fatto diventare, anno dopo anno, sottrazione dopo sottrazione, uno storyteller d’eccellenza.

Il grande musicista autore di pezzi immortali come Sultans of swing, Romeo and Juliet, Brothers in arms, per citare solo alcuni dei brani più famosi degli Straits, si è in altre parole imbarcato in un mestiere poco in voga di questi tempi (come scrive Rolling Stone in un bell’articolo dedicato al nuovo disco); ma Knopfler si sarebbe accontentato anche solo di suonare, come ha dichiarato in varie occasioni.

Peccato che il talento per il mestiere del cantastorie fosse evidente già dai tempi di Money for nothing, la hit oggi al trentesimo compleanno, che altro non è che la trasfigurazione di un aneddoto raccolto dal musicista in un negozio di elettrodomestici di New York e trascritto lì per lì sul suo notebook, dopo aver ascoltato i commenti arrabbiati di alcuni commessi contro lo star system.

Rispetto al 1985, però, è cambiato – e non poco – anche il suo modo di suonare: i celebri assoli pizzicati direttamente con le dita sono stati quasi del tutto azzerati, ma l’indiscussa maestria chitarristica si manifesta comunque quando, per esempio, ricorre allo slide, ossia un tubo metallico che Knopfler infila di solito sul mignolo per ottenere l’effetto vibrato, per esempio, nell’ultimo disco, in Lights of Taormina, composto tra l’altro durante il tour con il suo grande amico Bob Dylan.

In generale, oggi, a lui e ai suoi musicisti piacciono (assai!) le melodie che insieme hanno contribuito ad arrangiare “rubando” al blues, al mondo celtico, al rock e al country-folk, e le storie, di cui sopra, che Mark vi ha cucito addosso.

Tra quelle più rilevanti di Tracker spicca sicuramente Basil, dedicata al poeta Basil Bunting, da Knopfler conosciuto quando, appena quindicenne, faceva il “copy boy” al Chronicle, il sabato pomeriggio, per 6,6 pence.

All’epoca Bunting soffriva praticamente la fame ed era questa la ragione per cui, pur essendo “troppo vecchio per il lavoro”, continuava a trascinarsi in redazione a scrivere cose da nulla, seduto tristemente al tavolo destinato alle pause panino dei redattori.

Se Mark ce ne parla, però, non è certo per una specie di autobiografismo celebrativo, come capita spesso a chi comincia a invecchiare. La ragione è semmai sempre la solita, la “old thing”, usando un’espressione che l’artista usa spesso: Basil Bunting e il suo carattere bisbetico, così come il povero derelitto tratteggiato in Mighty man, un altro commovente pezzo dell’album, o la sfortunata scrittrice Beryl Bainbridge, premiata dai big della letteratura internazionale solo dopo la sua morte, hanno tutti i caratteri dell’universalità, un elemento essenziale per ogni storia che si rispetti.

Dai lustrini dei tour mondiali alle microstorie di esseri umani “costretti” (compelled, dice proprio Mark nella già citata video-intervista) a fare ciò che hanno fatto (che “andava fatto”, anzi), c’è insomma un salto notevole, ma Knopfler è perfettamente consapevole di essere un “lucky guy”, uno che ha avuto fortuna.

Quanto la sua vita di oggi sia piena di soddisfazioni e di gioia di vivere lo si capisce bene guardando il piccolo film, allegato all’album, di Henrik Hansen, che insegue l’artista nel percorso da casa allo studio di registrazione, mentre gioca con i cani e mentre guida tutto allegro una delle sue auto d’epoca. Un presente fatto di molto silenzio e rare amicizie vere, lo si immagina, in attesa dei lunghi periodi in giro per il mondo, ai quali il nostro ha dedicato più di una canzone, non solo in Tracker.

A Knopfler piace suonare in pubblico, lo dice chiaramente: trova particolarmente piacevole osservare i volti dei suoi vecchi fan, magari ri-trascinati a sentirlo dai figli, che si rigano di lacrimoni mentre lo applaudono con foga. Si sente fortunato perché ama tutto il ciclo, dal momento in cui scrive a quello in cui registra fino a quando lascia che le sue canzoni escano di casa e prendano la loro strada.

E nel corso degli anni gli è diventato sempre più chiaro il seguente pensiero: bisogna imparare a viversi il momento, qualunque esso sia, lasciando che le cose accadano, da sé. Invecchiando, aggiunge proprio il musicista britannico, gli sta capitando sempre più di sapersi godere il qui e l’ora, un’attitudine, ne è consapevole, che non è da tutti. “Invecchiare”, ha detto proprio di recente alla rivista inglese Salon, “non è roba per piagnoni”. Bisogna avere, anzi, una certa “resilienza” e mantenersi in una ragionevole forma. E d’altra parte, chi non si piange addosso è anche in grado di dare l’esempio agli altri, nel suo caso narrando di personaggi che, lottando, non sempre uscendone vincitori, con gli anni e con la vita, hanno comunque lasciato di sé una traccia indelebile.

Nel nuovo lavoro, in particolare, Mark traccia materialmente il tempo mostrandoci in fotografia (nel libretto accluso al cd) i visi segnati di alcuni suoi personaggi e insufflandoci nelle vene un sentimento dolce di malinconia che vira a volte fino al pianto. Succede per esempio con Long, cool girl, in cui compare sua moglie Kitty Aldridge in una foto giovanile, con Silver Eagle, l’altro pezzo scritto durante la tournée con Dylan, e soprattutto con la superba  Wherever I go, in cui Mark duetta con la cantante e cantautrice Ruth Moody, dotata di voce sublime.

In definitiva, sottolinea il musicista di Glasgow, bisogna essere consapevoli del tempo che passa: o almeno, lui lo è. E più lo sei, dice ancora, più sei colto dall’ossessione del bisogno di andare sempre avanti, nonostante le ferite raccolte anno dopo anno e la coscienza che non sei, né ti sentirai mai più indistruttibile come quando eri giovane.

Ed è così liberatorio sapere di essere esattamente dove si vuole stare: per esempio, su un palco, davanti a milioni di fan, rapiti, letteralmente, da una magia che si rinnova ogni volta che Knopfler e i suoi magnifici musicisti attaccano a suonare.

Il qui e ora sono davvero una grande conquista. Occorre una vita intera (e forse non basta neppure) per capirlo.

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