La vita lunga, le età e la prevecchiaia

Scritto da Paolo Ferrario il 20-11-2009

Nel mondo occidentale la maggiore durata della vita media è un imponente processo demografico che attraversa l’epoca moderna a partire dalla seconda metà del secolo scorso.
Le cifre sono note e l’evento riguarda quasi tutti. Basta guardarsi attorno, fra i familiari, i vicini di casa, i colleghi di lavoro. Dando dunque per conosciute queste tendenze, vorrei vedere la questione da un particolare punto di vista: cosa vuol dire per la biografia di ciascuna vita personale questa trasformazione storica?
Dal momento della nascita siamo immersi in un continuo susseguirsi di cambiamenti. Anno dopo anno cambia il nostro corpo e con esso anche la nostra personalità. Nel passato le età potevano essere divise in pochi segmenti: un’infanzia corta, un’età adulta spesso breve per le malattie e le guerre, una vecchiaia appena raggiunta e subito persa. Oggi queste distinzioni si fanno più articolate: c’è l’adolescenza lunga, c’è il tempo della propria formazione lavorativa, c’è il periodo lavoro che può subire, come stiamo sperimentando, crisi che richiedono conversioni professionali e c’è una vecchiaia che va assumendo forme e percorsi sempre più differenziati. c’è quella delle donne e quella degli uomini, perché i due generi attraversano con propri specifici codici culturali tale periodo, ma, soprattutto, c’è un fatto del tutto nuovo nella storia dell’umanità: quello della frammentazione delle “vecchiaie”, al plurale.
E’ ormai culturalmente acquisito distinguere fra una vecchiaia attiva (in cui si fanno i viaggi che non si è potuto fare prima, si fa volontariato, si aiutano i compiti genitoriali dei figli facendo l’esperienza di essere “nonni” e ancora, naturalmente, molto altro) e una vecchiaia di convivenza con le malattie croniche ed invalidanti.
Tuttavia, oggi c’è da rilevare un’altra dimensione emergente: negli anni compresi fra la mezza età e la vecchiaia, in quel tratto di vita in cui non si è più nel fiore degli anni ma neppure ancora davvero vecchi, ciascuno di noi passa attraverso un periodo di transizione che chiamo “prevecchiaia”. E’ andata a formarsi ed estendersi una condizione esistenziale che non è giovinezza, ma neppure vecchiaia. Parlo della realtà di un particolarissimo tempo biografico che nel passato non si era mai socialmente manifestato.
l’immagine da evocare è che nella prevecchiaia si è “sulla soglia”: ciò che si è realizzato, cioè il bilancio di quasi 40 anni, appare nelle sue luci ed ombre e contemporaneamente, nell’immediatezza del presente si intravvede ancora un futuro di ancora qualche decennio. Ricordiamo che non è poco il “tempo che resta”: può anche arrivare a 20-25 anni, ossia ad essere equivalente all’intero ciclo che ci ha portati dall’infanzia fino alla formazione lavorativa.
Il fatto da sottolineare è che fra i cinquanta e i settant’anni siamo chiamati ad affrontare ancora una profonda trasformazione. Corpo, psiche, intelligenza, cultura sono di nuovo messi a prova. Nel corso degli anni della cosiddetta “maturità”, attraverso le esperienze, abbiamo costruito l’edificio della nostra struttura della personalità, con le sue regole, i suoi confini, le sue pulsioni, i suoi sentimenti, le sue etiche. Per fare questo abbiamo irrigidito il nostro carattere: era necessario farlo, anche per esigenze di sopravvivenza.
Ora ci si apre uno spazio nuovo. c’è più tempo a disposizione per noi, per la nostra soggettività e capacità di stabilire relazioni. E in questa situazione abbiamo un nuovo compito: quello di riempire di significati e di senso questo tempo che è tutto per noi e per gli altri significativi che ci stanno intorno.
Usando una metafora naturale della terra, è arrivato il momento del raccolto, mentre intuiamo i colori e gli umori dell’autunno.
Non ci si deve stupire se arriva anche il momento della nostalgia: “Chiusi dentro questi confini, ci accade di ricordare quando vivevamo nei campi aperti della giovinezza. Allora ognuno tentava di scoprire quale fosse il suo io: provando, riprovando, fuggendo, buttandosi avanti, percorrendo strade e paesi sbagliati, domandando da tutte le parti, come chi cerca una cosa perduta o dimenticata” (in Pietro Citati, l’armonia del mondo. Miti d’oggi, Rizzoli Superpocket, 1998, p. 60).
Ma non si può neppure eccessivamente indulgere su questi stati d’animo, perché siamo immersi in un tessuto di segnali molto insistente che ci sussurra che occorre varcare altri confini del nostro personale essere e stare nel mondo: televisione, radio, letture e tecnologie internettiane (Email, Web, Siti, Blog) ci spingono a sperimentare ancora e ad allargare in nostri orizzonti.
Per certi versi, questa è una rivoluzione esistenziale resa possibile dalle cure mediche, dalla migliore alimentazione, da un mercato messo al servizio dei bisogni delle persone. E i cinquantenni-settantenni diventano, in un certo senso, dei pionieri, perché sperimentano per la prima volta nella storia la possibilità di “dare più vita agli anni”, dopo che l’evoluzione sociale ha dato “più anni alla vita”.
Occorre anche essere realisti: tutto questo avviene solo in una parte del mondo, quella che è riuscita con la sua cultura ed economia ad investire risorse sul benessere e, inoltre, è anche possibile che vi siano regressioni e controtendenze in questi processi di miglioramento della qualità della vita.
Tuttavia resta il fatto che sempre più persone oggi attraversano il territorio della prevecchiaia con il passo di chi sta esplorando delle nuove frontiere.

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