I sessantenni e il lavoro: dall'infanzia agricola all'economia "green"

Scritto da Paolo Ferrario il 22-03-2010

I sessantenni di oggi hanno assistito in diretta ai grandi cambiamenti della società italiana: nati in Paese ancora contadino, oggi vivono in mezzo a veloci innovazioni tecnologiche che hanno fortemente modificato anche il loro modo di lavorare.
Non si tratta di un cambiamento neutro. Nella vita di una persona il lavoro risponde infatti a una pluralità di funzioni: oltre a dargli il pane, è anche un’importantissima fonte di identità. Lo si può osservare anche nella vita quotidiana, quando chiediamo a qualcuno “che lavoro fai?” o quando un ragazzino alle scuole elementari racconta quale lavoro fa suo padre o sua madre.
E’ per queste ragioni che la crisi economica ha colpito a fondo e in certi casi ha determinato tragedie personali molto dolorose. Basti pensare a quei piccoli imprenditori che in questi mesi si sono suicidati per un “eccesso di etica pubblica e personale” ossia perché non riuscivano a sopportare i danni provocati alla propria famiglia e ai collaboratori che li avevano aiutati a fare impresa.
Il tasso di disoccupazione nel gennaio di quest’anno ha raggiunto l’8,6%: si tratta del livello massimo registrato dall’Istat dal 2004. Sono molti i fattori che concorrono a questa svolta dell’economia: in primo luogo, come abbiamo detto all’inizio, l’innovazione tecnologica che consente di produrre di più utilizzando meno risorse lavorative e poi la concorrenza dei mercati esteri, la Cina in primo luogo. Gli economisti parlano di uno spostamento planetario dei centri nevralgici dello sviluppo: l’Europa non ce la fa a competere con l’aggressività imprenditoriale e tecnologica che si va consolidando fuori da essa.
Cerchiamo di guardare a questo problema dalla prospettiva dei cicli di vita, come facciamo spesso su queste pagine.
Sono tre le aree cruciali che risentono maggiormente della trasformazione socio-economica in atto. La prima investe i giovani, costretti a rallentare la loro entrata nel mercato del lavoro, prolungando il tempo di formazione scolastica superiore e universitaria e stazionando, in modo crescente, nelle loro famiglie. Nello stesso tempo, si è assistito al progressivo abbandono della propensione al lavoro manuale, favorito nel passato dalla formazione professionale e dall’apprendistato. Questo processo è talmente incisivo che è ormai quasi entrato nel senso comune dire che “gli immigrati fanno il lavoro che non fanno più gli italiani”.
La seconda area è quella dei licenziamenti che possono avvenire certamente in tutto il periodo dell’arco lavorativo, ma che per gli ultracinquantenni possono determinare situazioni irreversibili senza sbocchi alternativi.
Infine, la terza area cruciale è il passaggio sociologicamente rilevante dal lavoro stabile al lavoro frammentato e flessibile. Oggi anche il diritto del lavoro riconosce e definisce una pluralità di contratti che un tempo non esistevano. Al rapporto di lavoro a tempo indeterminato si sono aggiunti: l’assunzione con contratti a termine, la “somministrazione di lavoro” (che nel 2003 ha preso il posto del lavoro interinale),
il lavoro a progetto (o collaborazione coordinata e continuativa),
il lavoro accessorio, il lavoro intermittente, e così via, fino a circa una quarantina di altre tipologie, fra cui andrebbero inclusi anche i titolari di partita Iva che solo apparentemente svolgono una attività professionale individuale.
In che modo lo Stato ha tentato di far fronte a questa continua trasformazione che i sessantenni hanno vissuto attraverso la propria storia personale e che i giovani nella transizione all’età adulta intravedono nel loro futuro?
In Italia nel corso del tempo è stato costruito un articolato sistema di “ammortizzatori sociali”.
Il sistema attuale, valido per le sole aziende con oltre quindici dipendenti del settore industriale e della grande distribuzione, comprende: 1. la cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria; 2. l’avvio di procedure che portano a licenziamenti collettivi e successiva collocazione in mobilità dei lavoratori, ai quali viene erogata una indennità di disoccupazione; 3. i contratti di solidarietà.
Accanto a queste forme che mirano al sostegno dei redditi (e quindi anche ad un’induzione di consumi benefica per l’economia) lo Stato e le Regioni hanno anche promosso attività organizzative orientate a favorire l’incontro fra la domanda e l’offerta di lavoro.
Il collocamento lavorativo è passato negli ultimi quindici anni da un monopolio statale ad un modello che ha accresciuto la responsabilità delle Regioni e ha indotto la nascita di apposite agenzie, pubbliche o private, che svolgono una funzione di intermediazione di manodopera e anche di sviluppo di formazione professionale finalizzata all’impiego. La legislazione ha elaborato un modello nel quale le Regioni hanno ruoli di programmazione, indirizzo e controllo e le Province hanno invece il compito di gestire ed erogare servizi per l’impiego tramite strutture operative chiamate “Centri per l’impiego”. Le specifiche modalità di esercizio delle funzioni oggi sono disciplinate dalle leggi regionali. I Centri per l’impiego svolgono un lavoro amministrativo e di servizio in stretto contatto con coloro che cercano occupazione: accoglienza e informazione orientativa, gestione di procedure amministrative, orientamento e consulenza, sostegno alle “fasce deboli” sul mercato, incontro fra la domanda e l’offerta.
Poiché il sistema è fortemente regionalizzato, è impossibile individuare modalità comuni organizzate in tutta Italia. Si può segnalare in questa sede la sperimentazione lombarda della “Dote Lavoro” e “Dote Formazione”. La prima consiste nel mettere a disposizione un contributo in denaro, che la persona inoccupata può spendere presso agenzie accreditate in attività finalizzate a trovare un nuovo lavoro, come: colloqui orientativi individuali, bilancio delle competenze, tutoring e counseling orientativo, affiancamento nella ricerca del lavoro, percorsi di formazione professionale, tutti inseriti in un piano di intervento personalizzato. La Dote Formazione consiste nella messa a disposizione di un assegno spendibile presso agenzie formative accreditate per accedere a percorsi di formazione professionale.
In sintesi il nostro sistema di regolazione si impernia su sussidi economici di sostegno al reddito (orientati su chi già aveva un lavoro e su imprese di dimensioni medio-alte) e sul tentativo di favorire il reimpiego tramite percorsi di formazione. Tuttavia il mercato del lavoro italiano oggi è caratterizzato da carriere sempre più frammentate e, in queste condizioni, la flessibilità del lavoro si traduce spesso in precarietà.
Come si diceva, l’area sicuramente più critica è quella degli ultracinquantenni. Una situazione di disoccupazione in questa fascia di età può risolversi talvolta solo con i prepensionamenti (che vanno ad accrescere il debito dello Stato). Ma ci sono anche ricerche che mettono in evidenza un effetto negativo sullo stesso tessuto produttivo. Recentemente la Boston Consulting Group, in collaborazione con l’Associazione Italiana dei Direttori del Personale, è arrivata alla conclusione che “quando questi lavoratori andranno simultaneamente in pensione, mancheranno le persone in grado di compensare la perdita di esperienza”. Il paradosso è questo: da una parte il meccanismo espulsivo è molto penalizzante, dall’altra costoro sono ancora una risorsa fondamentale nel trasmettere conoscenze e abilità per il funzionamento delle imprese.
La situazione è quindi articolata, contraddittoria e carica di incognite. Probabilmente solo un nuovo modello di sviluppo potrebbe ricreare opportunità produttive nel nostro Paese.
Un campo tutto da esplorare è il ritorno all’agricoltura e la “green economy“, settori necessari alla sopravvivenza e, al tempo stesso, ancora bisognosi di lavori manuali specializzati e di saperi ecologici all’altezza del rispetto che dobbiamo alla terra. E’ più che una speranza: si tratta di progettare un futuro diverso. Torneremo sull’argomento: la qualità della vita anche attraverso una concezione diversa del lavoro ci sta molto a cuore. Tornate a trovarci, dunque, e, se volete, lasciateci sotto le vostre impressioni e curiosità.

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