Indennità di accompagnamento

Scritto da Gaetano De Luca il 03-12-2014

In questo articolo ritorniamo ad affrontare dopo un po’ di tempo una provvidenza economica assistenziale molto conosciuta nel mondo della terza età, ma su cui spesso ci troviamo poco preparati nel capire quali siano le concrete condizioni per poterla ottenere. Stiamo parlando dell’indennità di accompagnamento.

L’indennità di accompagnamento consiste di fatto in un contributo economico erogato dallo Stato a coloro che non sono più autosufficienti. La condizione per poterne usufruire è quindi strettamente legata alla condizione di non autosufficienza quotidiana in cui una persona può venirsi a trovare durante una fase particolare della sua vita.

Ed è proprio sulla valutazione, verifica e riconoscimento di tale condizione di non autosufficienza, che spesso si verificano contrasti e contenzioso tra chi ritiene di aver diritto all’indennità di accompagnamento e invece chi sostiene che non vi siano i presupposti per il suo riconoscimento.

Vediamo quindi cosa prevede la normativa e soprattutto come essa venga interpretata dai Giudici in sede di concreta applicazione.

L’indennità di accompagnamento spetta innanzitutto a chi è stato riconosciuto invalido totale al 100 %. Il riconoscimento della percentuale del 100 % di invalidità però non è sufficiente a farne scattare in automatico il riconoscimento. Occorre infatti che venga accertata una condizione ulteriore: occorre che la persona sia assolutamente incapace di camminare senza l’aiuto costante di un accompagnatore, oppure sia impossibilitata a compiere gli ordinari atti quotidiani sempre senza l’aiuto continuo di un assistente.

La norma cui far riferimento è l’art. 1 della Legge n. 18 dell’11 febbraio 1980 che stabilisce: “Ai mutilati ed invalidi civili totalmente inabili per affezioni fisiche o psichiche…., nei cui confronti le apposite commissioni sanitarie abbiano accertato che si trovano nella impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore o, non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, abbisognano di un’assistenza continua, è concessa un’indennità di accompagnamento…”. La legge, come possiamo vedere leggendo il testo letterale della norma sopra citata, prevede quindi due condizioni alternative: impossibilità a deambulare o incapacità a compiere le attività quotidiane. In entrambi i casi l’elemento comune sta nella necessità di un assistente/accompagnatore, senza il quale la persona non può muoversi oppure non può compiere gli atti necessari alla sua vita quotidiana. Questo significa che l’indennità di accompagnamento può essere riconosciuta anche a chi, pur muovendosi autonomamente con le proprie gambe, non è però capace di gestire in autonomia le attività quotidiane.

I motivi che comportano l’incapacità a non essere in grado di gestire la propria quotidianità possono essere diversi, ma solitamente coincidono con il progressivo deteriorarsi delle capacità cognitive e mentali.

Proprio in relazione al significato concreto da dare al requisito della incapacità nello svolgimento degli atti quotidiani, si sono verificati in passato e si verificano ancora oggi dei contrasti interpretativi. Capita infatti abbastanza spesso che le Commissioni Asl, deputate all’accertamento di questo requisito sanitario, non riconoscano la condizione medico-legale della non autosufficienza, in quanto interpretano in modo restrittivo la normativa.

Ad esempio può accadere che i medici della Asl non riconoscano la sussistenza delle condizioni dell’indennità di accompagnamento perché la persona non è incapace di compiere tutti gli atti quotidiani, ma solo alcuni. Vi sono infatti molte situazioni in qui la non autosufficienza riguarda solo una parte degli atti, mentre per gli altri atti la persona continua a rimanere autonoma. Sono queste le situazioni che generano contenzioso. La normativa peraltro non specifica quali e quanti atti quotidiani la persona non deve essere in grado di compiere.

Vi sono poi non poche situazioni in cui magari la persona è materialmente e fisicamente in grado di compiere le elementari attività giornaliere, ma non ne sia pienamente in grado di intenderne il senso e la portata, a causa di deficit cognitivi ed intellettivi, con il conseguente concreto rischio di dimenticarsi di compierli oppure di compierli in modo inadeguato ai propri interessi.

Per evitare quindi che un interpretazione troppo riduttiva possa compromettere la ratio che sta alla base del riconoscimento di questa indennità, i giudici hanno più volte affermato come l’indennità di accompagnamento vada riconosciuta anche a coloro che, pur capaci di compiere materialmente gli atti elementari della vita quotidiana (quali il mangiare, il vestirsi, il pulirsi e così via), necessitino comunque di un accompagnatore, in quanto – in ragione dei gravi disturbi della sfera intellettiva e cognitiva di cui sono affetti – sono incapaci di rendersi conto della portata dei singoli atti che vanno a compiere e dei modi e tempi in cui gli stessi debbano essere compiuti.

Ugualmente l’indennità di accompagnamento va riconosciuta in tutte quelle situazioni in cui la persona non sia in grado di comprendere la rilevanza di condotte volte a migliorare – o, quanto meno, a stabilizzare o non aggravare – il proprio stato patologico (condotte volte per esempio ad osservare un giornaliero trattamento farmacologico), e/o di valutare la pericolosità di comportamenti suscettibili di arrecare danni a sé o ad altri.

Anche in relazione alla questione se sia sufficiente non essere in grado di compiere anche solo pochi atti oppure sia necessario non essere in grado di compiere proprio tutti gli atti quotidiani, l’orientamento prevalente dei Giudici evidenzia come anche l’incapacità a compiere una singola attività quotidiana possa soddisfare ugualmente le condizioni previste dalla legge, laddove tale singola attività assuma una certa rilevanza che imponga la necessità di un effettiva assistenza giornaliera.

Oltre agli invalidi civili con invalidità al 100 % l’indennità di accompagnamento spetta poi anche ai ciechi civili assoluti, alle persone colpite dal morbo di Alzheimer e affetti dalla Sindrome di Down.

Per ottenerla occorre presentare una domanda via web direttamente all’Inps, recandosi comunque prima dal proprio medico di base per farsi rilasciare un certificato sulla diagnosi che verrà inviato dallo stesso medico per via telematica all’Inps.

Ricevuta la domanda, l’Inps invita l’Asl a convocare la persona interessata presso una Commissione che provvederà ad effettuare la visita.

Un altro aspetto che può interessare i nostri lettori è il fatto che tale provvidenza non è condizionata dalla situazione economica della persona interessata. Questo significa che l’indennità di accompagnamento non è in alcun modo soggetta a limiti di reddito ma spetta sulla base della sola tipologia di minorazione e sull’incidenza che essa ha sulla quotidianità della persona.

L’importo di questa indennità per il 2014 è di 502 euro mensili. Viene erogata per dodici mensilità e non deve essere dichiarata nella Dichiarazione dei Redditi in quanto è esente da Irpef.

Infine occorre tenere ben presente come vi siano dei casi in cui pur se in presenza di tutti i requisiti sanitari per ottenerla (presenza di una condizione di concreta ed oggettiva non autosufficienza), l’indennità di accompagnamento non viene comunque riconosciuta. Questo succede per coloro che sono ricoverati gratuitamente in un Istituto di assistenza con retta a totale carico di un Ente Pubblico. Quindi solo laddove la persona paga una contribuzione per il suo ricovero, potrà aver diritto al riconoscimento dell’indennità.

Prima di concludere questo articolo, un piccolo suggerimento: alla visita presso la Commissione Asl fatevi accompagnare, se potete, da un vostro medico di fiducia. La presenza di un medico al vostro fianco può infatti ridurre il rischio che i medici della Commissione Asl effettuino un valutazione superficiale e pertanto non vi riconoscano ciò che per legge vi spetta.

 

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