Le pensioni del futuro, dall'Italia alla Bolivia

Scritto da Alessandra Cicalini il 04-01-2011

Accantonato il primo decennio del secolo ventunesimo, per i molti italiani alla svolta dei sessant’anni si porrà durante quello appena cominciato il problema di quando andare in pensione. Soprattutto, con quale assegno, viste le previsioni presentate giusto un mesetto fa dall’Inps, di cui in parte abbiamo già parlato. Paradossalmente, l’unica categoria di lavoratori che potrebbe sperare di avere una cassa con i conti in attivo è proprio quella dei lavoratori parasubordinati, che versano volontariamente i loro contributi. Tutt’altra storia è però quanto di quei denari finirà nell’indennità versata a ciascuno di loro, come ammesso dal presidente dell’Inps, Antonio Mastrapasqua, costretto, dopo le polemiche suscitate proprio dalle sue parole, a fare chiarezza sul futuro dell’istituto previdenziale e delle pensioni di ciascuna categoria di lavoratori.
I calcoli – purtroppo non ottimistici – erano comparsi in una serie di rapporti che l’ente voleva tenere riservati: ecco come li ha rielaborati il Corriere della Sera in un articolo dello scorso 13 dicembre firmato da Enrico Marro.
In estrema sintesi, si prevede che dal 2015 l’Inps vada in rosso per 41 milioni di euro, un buco destinato a salire a 2,5 miliardi entro i due anni successivi. Fino al 2017, però, il patrimonio netto sarà in attivo grazie all’avanzo proveniente dalle gestioni temporanee e, per l’appunto, dalla cassa dei lavoratori parasubordinati. Dopo quella data, però, precisa il giornalista del Corriere, si spera negli effetti positivi indotti dall’allungamento della vita lavorativa degli italiani, destinata a salire lentamente fino a 70 anni entro il 2050. A ben guardare, si tratta di un lasso di tempo piuttosto lungo, durante il quale, tra l’altro, l’indennità dei futuri pensionati dovrebbe scendere in maniera significativa. Ed è proprio questa parte dei conti che potrebbe incidere di più sulla vita di molte persone.
Entro il 2037, ad esempio, la copertura delle pensioni dei lavoratori subordinati scenderà dall’attuale 52% al 46% della retribuzione. Ancora più deciso dovrebbe essere il decremento della copertura pensionistica per gli artigiani, sempre entro il 2037, e simile anche la sorte dei commercianti.
Per tutte le categorie, peraltro, è previsto un lieve miglioramento tra il 2013 e il 2014, seguito da una vera e propria “batosta” secondo le previsioni, che potrebbe portare a pensioni basse, di più, bassissime, per i parasubordinati.
Come invertire la rotta, tenendo conto anche dei rischi aggiuntivi provocati dalle crisi economico-finanziarie che potrebbero ripetersi ancora? Secondo alcuni osservatori (lo scrive ad esempio Bluerating.com) sarebbe importante che vi fosse il massimo della trasparenza nella gestione dei fondi pensionistici insieme con la possibilità, per chi li sottoscrive, di cominciare sin da giovani a raddoppiarne il valore.
Del resto, una volta archiviato del tutto il sistema retributivo, che continuerà a interessare parte degli italiani per diversi anni ancora, i futuri pensionati dovranno basarsi solo sui contributi versati per una vita intera proprio in vista del meritato riposo. Perché non dovrebbero farli fruttare prima possibile? Che poi, chissà, magari smetteranno di lavorare prima, come dovrebbe succedere presto in Bolivia.
Nel Paese sudamericano è infatti da poco entrata in vigore la riforma fortemente voluta dal presidente Evo Morales, che, in totale contro-tendenza rispetto al resto del mondo, ha abbassato l’età della pensione da 65 a 58 anni (56 per le donne). Come mai una decisione del genere? Perché, dice Morales, la vita media dei boliviani non va oltre i 67 anni.
In Occidente, si sa, la tendenza è un’altra, ma, indipendentemente dall’età fissata dalle leggi per la messa a riposo, tra i buoni propositi degli anni futuri, sarà sempre più importante, in ogni angolo della terra, puntare sul “come” arrivare a questo momento. Detto in altri termini, occorrerà garantire la miglior salute possibile, a tutte le età.

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