Pia Pullici, Laura D’Incalci e le loro straordinarie storie di disabilità e provvidenza

Scritto da Alessandra Cicalini il 27-11-2014

Intervista di Alessandra Cicalini

Se Pia Pullici  fosse partita per Los Angeles, dove vive sua figlia, molto probabilmente non avrebbe potuto conversare via Skype in contemporanea con Laura D’Incalci, la giornalista comasca come lei che ha accettato di scrivere A cavallo sono un re (San Paolo edizioni), diciassette storie di disabilità grave raccolte tra i frequentatori dell’Associazione Thais, fondata dalla sua vulcanica amica trent’anni fa.

Uscito lo scorso aprile, il libro ha vinto il primo premio ex aequo al Premio internazionale di letteratura della Città di Como per la sezione Racconti del territorio, ha già venduto oltre duemila copie e ricevuto molti apprezzamenti soprattutto tra i lettori: “Per la presentazione pre-natalizia del prossimo 28 novembre alla Biblioteca comunale di Como – racconta Pia – abbiamo voluto creare un momento di riflessione e di confronto con il contributo di un biblista (Bruno Maggioni) e un responsabile dell’Opera don Guanella (Don Marco Grega) perché siamo convinte che la gente abbia voglia di storie vere, nelle quali cogliere una provocazione e un senso profondo del vivere”.

Un’opinione che si condivide facilmente dopo aver letto le testimonianze contenute nel libro, che sono state raccolte con “stile fotografico”, precisa Laura D’Incalci, ossia “in assenza di una teoria precostituita da parte della sottoscritta”.

Ed è sicuramente questo il “quid” colto dalle Edizioni San Paolo, grazie al quale, quel che era nato come un omaggio all’associazione Thais e al suo progetto pioniere nell’uso riabilitativo-ricreativo dell’ippoterapia e del nuoto a beneficio dei disabili fisici e psichici, si è trasformato in un vero e proprio volume di caratura nazionale.

Per Pia, insegnante di educazione fisica e fisioterapista, volata negli States negli anni Sessanta per apprendere le tecniche d’avanguardia in campo riabilitativo sperimentate nella cura dei reduci della Guerra del Vietnam, puntare in alto è praticamente nel Dna: “Sono riuscita a strappare a Eros Ramazzotti l’ex discoteca chiusa per spaccio di droga, che si chiamava Simpathy, e a trasformarla in un centro per disabili fisici che ho chiamato Simpatia ”, racconta, “di recente è poi maturato un altro progetto a Vedano Olona (Va) dove, oltre al maneggio, sarà previsto un birrificio che potrà offrire un’attività lavorativa anche ad alcuni ragazzi fragili”, prosegue in un flusso di parole difficile da frenare.

La interrompe ogni tanto Laura, con un ritmo solo foneticamente più posato: “Non so se si capisce”, dice sorridendo, “ma io e la Pia siamo molto diverse, ma ho accettato volentieri la sfida che mi ha lanciato e non nascondo di esserne stata anche molto coinvolta, perché sono state occasioni di vero incontro”.

Che cosa intendi con questa espressione?

Laura D’Incalci (d’ora in avanti LDI) – Entrando nelle case delle persone da intervistare, non ho usato l’accento della professionalità, ma mi sono messa in loro ascolto profondo. In più casi, anzi, sono dovuta pure tornare da qualcuno di loro una seconda volta per completare quel che mancava e l’ho fatto sempre volentieri.

Pia, come mai hai chiesto proprio a Laura di aiutarti a realizzare il libro?

Pia Pullici – (d’ora in avanti PP) Perché innanzitutto così tutti mi dicono che è scritto benissimo! (ride) In verità, perché Laura ci segue praticamente dall’inizio: è stata lei a scrivere il primo articolo sulla nascita del Thais.

LDI – Pia è dirompente (ride anche lei): la conoscono tutti i colleghi, impossibile non farsi coinvolgere. Però, devo dire che quando abbiamo cominciato a lavorare al libro, sono rimasta sorpresa dalla cartelletta di materiale da lei raccolto negli anni: buona parte degli articoli sulle attività per disabili in ambito locale erano miei.

Era destino, insomma… Perché l’avete chiamato Thais?

PP – Così si chiamava la ragazza inglese trasferitasi a Como con la famiglia (Thais McNeilly, ndr), che faceva la volontaria da noi e sognava di diventare fisioterapista: è morta in un incidente stradale gravissimo a soli diciannove anni e i genitori hanno consentito la donazione dei suoi organi. Era una ragazza solare: parlava un italiano da ridere e andava dall’insegnante che le dava ripetizioni con il suo cavallo Ginger!

LDI – Io l’ho conosciuta in un contesto completamente diverso, in occasione di uno speciale sull’esame di maturità per il giornale per il quale lavoravo: l’avevamo invitata in redazione per farci raccontare le differenze tra l’Italia e il suo Paese d’origine e l’avevo apprezzata moltissimo. Quando poi ho saputo quel che era successo, perciò, ne rimasi molto colpita. Adesso nelle presentazioni del nostro libro usiamo una galleria fotografica con la musica dell’opera Thais di Jules Massenet  che porta proprio il suo nome: neanche a farlo apposta, si tratta di una melodia struggente ma non triste.

Anche in questo caso sarà destino o Provvidenza? Per ora torniamo sulla terra: Pia, il nuoto e l’ippoterapia vanno bene per ogni tipo di disabilità?

Da insegnante di educazione fisica, ritengo che il nuoto sia fondamentale per tutti, ma per i disabili gravissimi diventa l’unica occasione per uscire dalla carrozzina. In acqua, infatti, si è liberi e si possono fare esercizi che diversamente sarebbero impossibili. Analogamente, anche il cavallo ti fa sperimentare situazioni di libertà, producendo un concreto miglioramento della vita. Anche se la Regione Lombardia riconosce allo sport la sola funzione ricreativa e non quella riabilitativa, al contrario di quanto accade in Emilia Romagna, Marche, Sicilia e Toscana.

Come mai?

PP – Dovresti girare questa domanda alla Regione. In ogni caso, da noi la riabilitazione viene effettuata presso gli ospedali e i centri specializzati, ma non viene riconosciuta l’attività sportiva nella sua valenza terapeutica che si rivela anche molto utile per l’inserimento sociale.

Tu che cosa ne pensi Laura?

LDI – In verità non ho particolare competenza in questa questione specifica: come si vede anche dal libro, ho lasciato che affrontassero l’argomento direttamente le persone intervistate, insieme con i molti altri temi che hanno toccato, ad esempio il loro rapporto con le strutture specializzate e il volontariato. Soprattutto da quest’ultimo, dal mio punto di vista, molti di loro hanno avuto risposte che altrimenti non avrebbero ricevuto.

Come avete scelto le storie per il libro?

PP – In base alla gravità: è stata proprio una scelta precisa.

Perché?

PP – In trent’anni hanno frequentato il Thais diverse centinaia di persone: anche se affetti da malattie che spesso li privano della parola e della mobilità, volevo proprio che si vedesse con quanto coraggio e senza traccia di tristezza e angoscia vivono sia loro sia i familiari.

La fede li aiuta? 

LDI – Direi proprio di sì, anche se voglio spiegare bene in che senso. Pur essendo io credente, trovo infatti che a volte sia troppo superficiale indorare la realtà e dire che la fede è un conforto… Spesso viene facile dirlo finché cose di questo genere capitano agli altri. E in effetti, durante tutti questi incontri, mi ha costantemente accompagnato la domanda su come la fede cambia il modo di affrontare la realtà: ascoltando queste testimonianze di vita, ho imparato che la fede non può essere disgiunta dall’esperienza, dalle circostanze che attanagliano l’esistenza e quindi provocano domande urgenti sul senso del vivere… E’ la stessa situazione drammatica a suggerire un senso di attesa, ad alimentare un sentimento della vita, grande, puro, non necessariamente cristiano, ma comunque mai superstizioso. In loro ho insomma trovato una carica di bene, di umanità e di accoglienza davvero straordinari. A un certo punto, anzi, parlo proprio di mistero.

Della vita e della fede.

LDI – Esatto: ho compreso proprio chiaramente che la fede o è così o non è.

Tu, Pia, credi?

PP – Credo nel Vangelo, quello che a volte gli uomini si dimenticano di applicare… Qualcuno, di recente, dopo aver letto il libro, mi ha detto: “ma Pia, i tuoi sono tutti crocifissi viventi”. E io ho risposto che sono proprio gli storpi e i ciechi gli invitati del re, come racconta il Vangelo. È questo ciò in cui io credo: ho capito che se la gente scoprisse che amare queste persone dà grandi soddisfazioni, non avrebbe più certi pregiudizi. Ma il problema è che non le vedono proprio.

I tuoi figli appoggiano le tue scelte?

Ma i miei figli hanno avuto tutto, figuriamoci. E poi, in casi di emergenza per le famiglie, ospitavo in casa molti di questi ragazzi, visto che 30-40 anni fa non c’era niente e finita l’ora di riabilitazione molti familiari non sapevano a chi lasciarli, quando avevano qualche necessità. Sarà che da sempre sono stata in mezzo a loro: è stata proprio una scelta di vita.

Insomma, la logica che applicano i cosiddetti normodotati è un po’ alla rovescia?

LDI – Sì. Facilmente di solito si parte da un ideale per tentare di applicarlo al reale. Nelle persone che ho incontrato, invece, ho visto un’adesione totale alla realtà e la capacità di starci fino in fondo. Poi, certo, hanno attraversato anche momenti terribili e qualcuno ha anche espresso forte rifiuto verso ciò che era loro capitato. Una ragazzina, per esempio, s’imbarazza se il fratellino disabile assiste alle sue gare di ginnastica; altri si sono più volte vergognati di andare fuori al ristorante per la paura di essere giudicati; altri ancora sono stati presi in giro. Ma in particolare un signore al quale ho posto proprio la domanda “ma chi ti dà la forza di sopportare tutto questo?”, mi ha risposto “ma noi viviamo per i nostri figli, per loro affrontiamo tutto. Niente ci ferma…”. E questa per me è stata una grande lezione, ho capito ancora una volta che è la passione per quello che ci accade: l’attaccamento alla vita che ci muove oltre i ragionamenti.

Oltretutto, più di qualcuno ha visto anche significativi progressi dopo aver frequentato il Thais.

PP – Pensa al ragazzo della copertina, Roberto, e a come sorride. Anche Andrea, autistico grave, frequentava il Thais negli anni Ottanta. A un certo punto è venuto con un foglietto con su scritto “a cavallo sono un re, che vede il mondo sotto di sé”, la frase che abbiamo riportato sulla quarta di copertina. Chi l’avrebbe mai immaginato in quegli anni che una persona con una patologia del genere potesse scrivere?

LDI – In generale, poi, già dalla prima volta che sono stata al centro di ippoterapia e nuoto ho visto soprattutto una grande gioia, una grande vitalità: in piscina i ragazzi scherzano, ridono. E poi molti si ritrovano anche fuori. Tornano a vivere, insomma.

Avete abbastanza volontari?

PP – Ce n’è sempre bisogno, comunque ne abbiamo sempre avuti numerosi: considera che deve essercene sempre uno per ogni ragazzo e siccome chi viene lavora parecchio, il ricambio serve.

Bisogna avere caratteristiche particolari?

PP – No, ma si deve essere disposti a tirare il cavallo senza averne paura e scendere in acqua senza difficoltà. Tra noi ci sono moltissimi giovani entusiasti di venire al centro: questo scrivilo, mi raccomando. Si parla troppo spesso dei giovani in termini negativi e invece ce ne sono davvero tanti che hanno capito il valore della vita. E poi abbiamo anche un gruppo di anziani: uno di loro si presta volentieri ogni anno anche a fare il Babbo Natale.

LDI – Ho proprio notato che il volontario non si sente coinvolto solo in quell’ora che presta servizio, ma anche in altri momenti.

PP- Infatti, nel volontario si trova un amico e si supera proprio l’handicap attraverso l’handicap, ossia la difficoltà di farsi accettare, di farsi vedere, proprio, dagli altri.

Veniamo alle difficoltà: nell’ultimo capitolo accennate alla questione del “dopo di noi”, un problema molto serio per tutti i familiari di ragazzi con problemi. Estendendolo a te, Pia, tu come pensi di passare il testimone?

PP – In verità lo dico in continuazione: “guardate che tra poco mi dimetto, eh?”. In ogni caso, delego molto: faccio affidamento su numerosi tecnici, tra i quali il bagnino e il fisioterapista, e poi tanti volontari. Certo, faccio da locomotiva, ma comunque ormai sono trent’anni che andiamo avanti, superando i problemi man mano che si presentavano. Insomma, ci penserà la provvidenza anche stavolta.

Che cosa vi aspettate dal libro?

LDI – Personalmente non mi sono mai aspettata niente… Qualcuno mi ha proprio detto che ho avuto un bel coraggio a imbarcarmi in quest’avventura che peraltro ho cominciato con totale spirito di gratuità. Il tema affrontato, insomma, non è di moda e quindi non era affatto scontato che suscitasse l’attenzione che invece stiamo avendo. Mi sono anzi resa conto che poteva essere utile, facendo leggere un po’ delle storie che avevo già scritto ad amici e parenti, come faccio di solito con i miei articoli. Ed è stato proprio per questo motivo che l’abbiamo proposto alla casa editrice San Paolo.

PP – Che ne ha riconosciuto la validità del contenuto.

LDI – Sì, ci hanno detto che nelle storie c’era un quid che tiene incollato chi legge e quindi…

Non pensi, Laura, che comunque la soglia di attenzione verso il mondo della disabilità da parte dei media sia cresciuta nel tempo? Un po’ di anni fa, per dire, non c’erano neanche le parole che permettessero di parlarne con cognizione di causa.

LDI – Secondo me, c’è una maggiore attenzione formale: per esempio è stata abolita la parola “handicappato” e usiamo quella più politicamente corretta “diversamente abile”. Sotto sotto però resiste una mentalità per cui, insomma, se non ci fossero sarebbe meglio…

PP – Ma abbiamo avuto anche tante recensioni positive! E poi abbiamo anche vinto il premio letterario di Como superando 1.400 concorrenti. Inoltre tra poco andiamo dal Papa, eh? Ha già avuto il libro: gliel’ha portato il cugino del suo segretario di recente.

Laura, cosa ne dici?

LDI – La Pia è un terremoto continuo, io sono più riflessiva…

PP – Nessuno mi trattiene… E d’altra parte sono convinta che lo Spirito Santo lavora: se non sono andata a Los Angeles, qualche motivo ci sarà. E’ imprevedibile quel che il Padreterno vuole fare.

Tra ciò che ha permesso, intanto, c’è la reciproca, assai arricchente, conoscenza. Il resto si vedrà: anzi, arriverà.

Da Muoversi Insieme un grazie sentito a entrambe le signore, per il dirompente sentimento di speranza che sono riuscite a trasmettere realizzando il loro libro. A tutti voi buona lettura.

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