Il contratto a distanza è valido? Con la firma digitale sì!

Scritto da Gaetano De Luca il 29-01-2010

Nella vita di tutti i giorni capita spesso di dover firmare scartoffie o di dover richiedere un certificato in Comune. Nella maggior parte dei casi, non abbiamo molto tempo a disposizione ma ci armiamo di coraggio e speriamo di non dover fare lunghe code. Per fortuna, già da un po’ di tempo l’informatica è venuta in nostro aiuto permettendoci di effettuare molte operazioni direttamente da casa nostra. Una delle ultime innovazioni è la cosiddetta “firma digitale”, ossia un sistema che ci permette di sottoscrivere a distanza contratti per beni o servizi (pubblici e privati).

La rivoluzione tecnologica nella burocrazia è stata resta possibile già dal 1997 con la riforma Bassanini (ossia la legge 59/1997) che ha reso validi e rilevanti a tutti gli effetti di legge i contratti stipulati con strumenti informatici o telematici, nonché la loro archiviazione e trasmissione.

Si tratta sicuramente di una grande novità dal momento che per secoli l’assunzione di responsabilità rispetto al contenuto di qualsiasi atto giuridico è  avvenuta solo attraverso lo strumento giuridico della firma autografa.

Il nuovo strumento giuridico, come dicevamo, si chiama firma digitale: che cos’è esattamente?

E’ il risultato di una procedura informatica (cosiddetta validazione) che consente al sottoscrittore di rendere manifesta l’autenticità del documento informatico e al destinatario di verificarne la provenienza e l’integrità.
Questo nuovo strumento garantisce tre requisiti necessari per un efficace e valido rapporto giuridico tra due soggetti: autenticità, integrità e non ripudio.

Quanto all’autenticità, questo significa che con un documento firmato digitalmente si può essere certi dell’identità del sottoscrittore.

Integrità significa essere sicuri che il documento informatico non è stato modificato dopo la sua sottoscrizione.

Non ripudio vuol dire che il documento informatico sottoscritto con firma digitale ha piena validità legale e non può essere disconosciuto dal sottoscrittore.

In Italia il primo atto normativo che ha riconosciuto la validità della firma digitale per la sottoscrizione dei documenti elettronici è stato l’articolo 15 della già citata legge Bassanini. La norma è stata poi attuata dal Dpr 513/1997, ossia il regolamento contenente criteri e modalità per la formazione, l’archiviazione e la trasmissione di documenti con strumenti informatici e telematici. Successivamente, tutta la normativa è stata inserita nel Dpr 28 dicembre 2000, numero 445, ossia il Testo unico sulla documentazione amministrativa, più volte modificato negli anni successivi all’emanazione, per conformare la disciplina italiana alla normativa comunitaria contenuta nella Direttiva 99/93 in materia di firme elettroniche.

Oggi la legge che disciplina la firma digitale è il “Codice dell’amministrazione digitale” (decreto legislativo 7 marzo 2005, numero 82, così come modificato dal Dlgs 159/2006.

Ma come si crea esattamente  una firma digitale? Per generarla, è necessario utilizzare una coppia di “chiavi digitali” asimmetriche attribuite da un ente “terzo” – cosiddetto ente certificatore.

La prima chiave (detta chiave privata) è conosciuta solo dal titolare ed è utilizzata per la generazione della vera e propria firma digitale da apporre al documento.

La seconda chiave (detta chiave pubblica) è invece destinata ad essere resa pubblica e viene utilizzata per verificare l’autenticità della firma.

Una volta apposta la firma al documento con la chiave privata, la firma può essere verificata esclusivamente con la corrispondente chiave pubblica.

Le due chiavi sono rilasciate da un ente certificatore che, su richiesta dell’interessato e dopo averne verificato l’identità, emette un certificato contenente informazioni relative al titolare della firma digitale.

Di fatto la firma digitale è contenuta in una tessera (smart card) tipo bancomat che incorpora un microchip. Per firmare un documento informatico la tessera deve essere inserita in un lettore di smart card collegato ad un pc. La firma digitale può peraltro essere contenuta anche all’interno di una chiave Usb. In questo modo ovviamente non è necessario possedere un lettore di smart card collegato al computer.
Quanto al valore probatorio del documento informatico sottoscritto con firma digitale, il Codice dell’amministrazione digitale ne sancisce la stessa efficacia prevista dal Codice civile per qualsiasi atto sottoscritto manualmente.

Quali sono le principali differenze tra firma digitale e firma convenzionale?

Innanzitutto la firma digitale viene creata mediante un algoritmo anziché manualmente. In secondo luogo, la firma cosiddetta autografa viene apposta direttamente sul documento divenendone parte integrante, mentre quella digitale viene apposta come allegato e pertanto è separata dal vero e proprio atto.

In terzo luogo, la firma digitale assicura il non ripudio, nel senso che il firmatario del documento trasmesso non può negare di averlo inviato, né il ricevente può negare di averlo ricevuto. In altre parole, ciò significa che l’informazione non può essere disconosciuta.

La firma digitale garantisce, quindi, nei confronti dei documenti informatici, la presenza degli stessi requisiti che la firma autografa garantisce nei confronti dei documenti cartacei, fornendo in più la garanzia di immodificabilità dell’oggetto della sottoscrizione.

Il vantaggio pratico dell’utilizzo di questo strumento consiste principalmente nel fatto di non dover uscire di casa per effettuare tutta una serie di operazioni.

Un esempio di applicazione concreta si ha nella possibilità di richiedere servizi e prestazioni alla Pubblica Amministrazione attraverso un semplice “click” dalla tastiera del proprio computer di casa, come avviene da poche settimane nel Comune di Milano, dove i cittadini possono richiedere certificati anagrafici e di stato civile collegandosi al sito internet dell’ente locale e ricevere tali documenti con la firma digitale dell’ufficiale di Anagrafe.

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