Aspettando Sanremo: divagazioni musicali

Scritto da Paolo Ferrario il 15-02-2010

Chi l’ha detto che “sono solo canzonette”?
La domanda si riproporrà anche quest’anno, in occasione del Festival di Sanremo. Eppure Marcel Proust aveva già provato ad avvertirci: “Non disprezzate la cattiva musica. Il suo posto è nullo nella storia dell’arte, ma immenso nella storia sentimentale della società”. E, qualche tempo dopo, anche Enzo Jannacci sosteneva un’altra tesi: “Questa è la canzone intelligente che farà cantar tutta la gente, questa è la canzone intelligente che farà ballar che farà ballar …”.
Il festival di Sanremo, nonostante i suoi 60 anni, continua a rimanere un pezzo della cultura italiana ed è quasi un rito popolare. Vale davvero la pena di viverlo attutendo i pregiudizi intellettuali e provando a comprendere quanto conti per ciascuno di noi la musica e quanto si leghi alla nostra vita.
Il termine “musica” è in stretta assonanza con l’arte delle Muse e, alla sua origine, indicava un insieme di tecniche e attività ispirate alla bellezza e al piacere. Nella mitologia greca le Muse erano le nove figlie di Zeus e di Mnemosine (la Memoria). E’ questa associazione di piacere, bellezza e capacità di ricordare che ci interessa evocare e inseguire.
Proviamo a fare un lavoro di immaginazione storica che ci conduca alle origini, riflettendo sul fatto che, prima ancora del linguaggio come modalità di comunicazione fra umani, c’era già la musica. Erano i suoni della pioggia, dei tuoni, del vento, degli animali, della natura che, fuori dai luoghi di riparo, riempivano in modo anche inquietante l’ambiente esterno. Il neuroscienziato Daniel Levitin ha prodotto una grande mole di dati e informazioni a sostegno della primaria importanza della musica nell’evoluzione umana: essa si è evoluta, fino ad acquisire autonomia e a diventare arte, proprio per promuovere lo sviluppo cognitivo. In Fatti di Musica (This is Your Brain on Music, 2006),
Codice edizioni dice: “La musica può essere l’attività che preparò i nostri avi pre-umani alla comunicazione verbale e alla flessibilità cognitiva necessaria a diventare umani”. Lo comprova il fatto che, in ogni società conosciuta, musica e danza sono forme espressive universali. E’ solo negli ultimi 500 anni che la musica è diventata un’attività per spettatori: “l’idea del concerto musicale – dice ancora Levitin – in cui una classe di “esperti” si esibisce per un pubblico riconoscente è praticamente assente nella nostra storia come specie”.
E’ in questo lunghissimo orizzonte evolutivo che possiamo ripensare il nostro piacere nell’ascoltare (o vedere ed ascoltare) la musica. Quello che cerchiamo è un’esperienza delle emozioni. Potremmo dire ancora meglio: ci educhiamo ad entrare in rapporto con le nostre emozioni. La musica serve a trasmettere sentimenti attraverso un rapporto fra i gesti fisici e il suono. Il felice compito del musicista è di mettere assieme il suo stato mentale ed emotivo per comunicarlo a noi: e così facendo, dentro di noi si sviluppa un apprendimento esistenziale. Ma facciamo una prova, visto che internet ce lo permette. Osserviamo come Nina Simone costruisce con il corpo, le mani e la voce il suo meraviglioso Four Woman. E ancora, guardiamo la faccia beata di Gary Peacock mentre imbocca il paesaggio musicale di quel capolavoro di improvvisazione del Trio Keith Jarrett che è Prism. In queste due interpretazioni si può percepire cos’è la bellezza e come si struttura dentro una relazione. Ma leggiamo anche le migliaia di commenti che i visitatori di tutto il mondo lasciano: ci renderemo conto che stiamo partecipando ad una esperienza sociale priva di barriere geografiche. Sono solo due esempi (fra i più alti) di quanta strada sia stata fatta nell’evoluzione umana di cui abbiamo parlato.
Ogni volta che un bambino canticchia una filastrocca per imparare le tabelline o un adulto intona una canzone della sua infanzia o adolescenza si riattiva quel processo di crescita evolutiva che abbiamo appena raccontato in modo sommario. Sempre nella prospettiva di legarci alla nostra concreta esperienza, il gruppo di autori cui si rifà Levitin sostiene che il punto di svolta per il gusto musicale si colloca attorno ai 10 anni: “Da adulti, la musica che ricordiamo con nostalgia, quella che ricordiamo come nostra, corrisponde a quella che abbiamo sentito in quegli anni”. E’ talmente forte quella impronta che anche nella patologia del morbo di Alzheimer molti degli anziani che ne soffrono riescono a ricordare canzoni imparate in quell’arco di età. Ciò avviene perché quelli sono gli anni della scoperta di sé e, proprio per questo, sono densi di emozione.
Ecco perché il festival di Sanremo può “farci bene”: perché ci aiuta a fissare momenti della nostra biografia e a ricordarli nella forma cantata. Ed anche a canticchiarli come sto facendo ora, mentre scrivo.
Quelli della mia generazione (1948) ricordano alcune canzoni che fanno parte sia della storia culturale italiana, sia di quella personale.
Nel 1951 non c’era ancora la televisione e anche il disco (poi cassetta, Cd e oggi file Mp3) era lontanissimo dalla funzione che svolge attualmente. In quella situazione oggi inimmaginabile la canzone più bella di fu “Grazie dei fior” cantata da Nilla Pizzi: “Grazie dei fior/fra tutti gli altri li ho riconosciuti/mi han fatto male, eppure li ho graditi/son rose rosse e parlano d’amor”.
Nel 1958 a “Volare” nella mente e nei cuori è lo scatenato refrain di Domenico Modugno: “Poi d’improvviso venivo dal vento rapito/e incominciavo a volare nel cielo infinito” (Nel blu dipinto di blu). Son passati 50 anni e il motivo è inscritto nella memoria. E’ bello trovarsi a cantarlo.
Nel 1961, a testimoniare una blanda mutazione di costume, Adriano Celentano irrompe sullo schermo televisivo in una scatenata rumba-rock: “Con 24 mila baci/oggi saprai perché l’amore/vuole ogn’istante mille baci/mille carezze vuole allora”.
Ancora Celentano nel 1966 va al Festival a raccontare gli effetti del dopo boom economico: “Torna e non trova gli amici che aveva/solo case su case … catrame e cemento” (Il ragazzo della via Gluck).
Queste volevano essere solo alcune reminiscenze per dire che le generazioni sono cresciute e cambiate ascoltando sullo sfondo delle loro vite alcune “canzonette”. Nessuno può ritrarsi dalla modesta ma irresistibile suggestione di certe melodie, parole e voci.
Facciamolo anche in questi giorni del festival di Sanremo 2010. Ascoltiamo e chiediamoci: perché questa canzone? Cosa ha voluto dire? Cosa porta di nuovo questo cantante? Cosa c’è di diverso rispetto al passato?

Vuoi lasciare un commento? Clicca qui

Links
Festival di Sanremo 2010
Daniel J. Levitin, Fatti di musica. La scienza di un’ossessione umana, Codice edizioni, 2008
Nina Simone, Four Woman, Festival di Antibes, 1965
Trio Keith Jarrett, Prism, Tokyo, 1985

Leave a Reply

Your email address will not be published.